Dall’India una storia di Moda e di affermazione dei diritti delle donne

Il fragore assordante delle sfilate di Londra, New York, Parigi e Milano non riesce, per fortuna, a distrarre l’attenzione dai fili, ancorché ritenuti secondari, della trama e dell’ordito dell’artigianato nella moda. Dall’India arriva una storia straordinaria di lavorazione dei tessuti, di creatività, di lotta per l’affermazione dei diritti delle donne. A capo di questa vicenda c’è Runa Banerjee. Dalle foto cerco di scorgere lo sguardo di questa donna che mi fa lo stesso effetto di quello di Vandana Shiva. Entrambe indiane, entrambe controcorrente, entrambe impegnate in cause che definire nobili è poco: la Shiva sul fronte della promozione della ambiente; la Banererjee su quello della lotta per i diritti delle donne. Sono storie le loro che, pur provenendo da lontano, ci insegnano qualcosa: la lotta per un mondo più giusto riguarda tutti e deve essere portata avanti quotidianamente. Runa ha iniziato nel lontano 1972, fondando Sewa (Self Employed Women’s Association), che oggi conta più di sei milioni di iscritte. La sua scommessa si chiamava e continua a chiamarsi chikankari, un tessuto ritenuto di poco valore in India. Studia tutti i punti di lavorazione del merletto e riesce a trasformare una stoffa poco pregiata nell’ingrediente di creazioni ritenute invece di alto valore artistico. Nel 1979 riceve dall’Unicef l’incarico di studiare Donne indiane al lavorola condizione delle lavoratrici nello Stato musulmano dell’Uttarpradesh: la realtà è sconfortante e si chiama sfruttamento, povertà, marginalizzazione dalla vita economica e sociale della comunità. Dal momento che Runa è una di quelle persone che i problemi prima li guardano bene in faccia e poi decidono di risolverli alla radice, nel 1982 fonda una scuola per bambini in condizioni di profondo disagio. Il suo obiettivo è quello di guadagnarsi la fiducia delle altre donne. Vuole che, superando l’iniziale diffidenza nei suoi confronti alimentata dal fatto che per scelta non si è sposata, le altre la percepiscano come una di loro. Dopo appena due anni, l’operazione va in porto e nasce così la Sewa Lucknow (www.sewalucknow.org), una cooperativa sociale dedita alla lavorazione del chikankari. Da quel momento ad oggi di strada Runa e le sue colleghe ne hanno fatta davvero tanta. Basti solo pensare che la loro associazione conta partner sparsi in molti paesi, tra i quali l’Italia. La fondatrice è anche candidata al Premio Nobel per la Pace. Gli effetti del suo operato sono profondi e ben visibili: le donne sono finalmente diventate più consapevoli dei loro diritti e soprattutto hanno incominciato a sostenersi a vicenda. Dal momento che molto subiscono maltrattamenti dai mariti per via dell’assenza di dote, le altre hanno costituito un fondo comune per supportarle nella creazione di un tesoretto da portare per l’appunto in dote. Le ragazze di Sewa intervengono di fronte alla violenza domestica, all’abbandono scolastico, al recupero dalla prostituzione e nella prevenzione dell’Hiv. Tutte queste attività vengono svolte in piena collaborazione con la polizia locale. Certo a Runa Banerjee non mancano ragioni per essere soddisfatta di se stessa. Anche se non sappiamo se riceverà il premio Nobel, noi gliel’abbiamo già dato per la forza, per il coraggio e soprattutto per l’umanità.

 

Pasquale Musella

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