Palazzo Strozzi a Firenze ospita dal 27 settembre al 19 gennaio 2014 la mostra ‘L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente’, un’esposizione concepita da molti anni, fin dai tempi di Gorbačev, e mai arrivata a compimento, fino ad oggi È un nuovo importante passo per comprendere l’avanguardia russa, con l’aiuto di nuove competenze e scoperte scientifiche, superando definitivamente pregiudizi ed errate convinzioni, grazie alla collaborazione di insigni studiosi e grandi musei. Possiamo considerarla la prima esposizione internazionale incentrata sul legame tra l’Avanguardia russa e l’Oriente scevra dal pregiudizio che gli artisti russi abbiano piuttosto guardato all’arte occidentale. Il rapporto tra i modernisti russi e le culture orientali ed euroasiatiche è stato finora poco studiato e se pure altre mostre hanno cercato di mettere in maggior luce il loro legame con l’Oriente è sempre stata favorita l’opinione che essi si rifecero piuttosto al cubismo francese, al futurismo italiano e all’espressionismo tedesco. Bisogna invece evidenziare il fermento culturale nella Russia nel decennio che va dalla guerra russo-nipponica alla I guerra mondiale (1904-1014), sulla scia dell’ampliamento dei confini dopo la guerra di Crimea e dei cambiamenti politici che il paese stava vivendo fin dalla fine del secolo precedente e che sfociarono poi nella rivoluzione. Nel 1983 a Mosca vennero messi in mostra gli oggetti dell’arte orientale, soprattutto giapponesi e cinesi, che il figlio ereditario dello zar aveva riportato dal suo viaggio nelle terre d’Oriente dove era stato in viaggio di rappresentanza, accolto calorosamente dalle delegazioni locali, che lo omaggiarono con preziosissimi doni e feste. L’esposizione si fregiava di manufatti dell’Egitto, Cina, Giappone, Siam e della Siberia, con oggetti e complementi d’arredo mai visti fino ad allora e contemporaneamente le collezione dei musei di Mosca e San Pietroburgo si arricchiscono di un gran numero di oggetti dei vari gruppi etnici del vasto impero russo, dando testimonianza delle antiche culture euroasiatiche e orientali che colpirono fortemente la fantasia degli intellettuali russi. Ciò si riflesse nelle loro opere e nei loro scritti in cui esprimono la loro sensazione di trovarsi al confine fra due civiltà, tra il carattere primordiale e spontaneo della cultura dell’Oriente e il razionalismo della civiltà europea. In particolare gli spazi infiniti e sterminati della Siberia colpirono ed entusiasmarono gli artisti russi già influenzati da un certo orientalismo e le numerose spedizioni in quelle terre così particolari riportarono molto materiale oggi in parte conservato al Museo delle Popolazioni di Mosca. Così pure ampia fu la raccolta di fotografie documentarie che diedero testimonianza delle culture e delle tradizioni delle minoranze etniche e delle tribù più sperdute nei vasti territori siberiani. Sono zone impermeate da particolari forme di buddismo e animismo, ricche di divinità e influenzate dalla ritualità sciamanica che produsse icone, sculture e oggetti di culto, come ampiamente documentato dall’eccezionale catalogo della mostra. Alla Base della cultura sciamanica c’è la concezione dell’intima intesa tra uomo e natura, la convinzione che la natura stessa abbia un’anima e che gli spiriti animino tutte le sue manifestazioni. I primi artisti che si rifanno a tale retaggio culturale furono i simbolisti come Nikolaj Rerich. Gli artisti dell’Avanguardia ne diedero però un’interpretazione più originale, sottolineando ora la contrapposizione tra le due culture, si veda ad esempio di Pavel Filonov ‘Oriente e Occidente’ e ‘Occidente e Oriente’, ora la spiritualizzazione di alberi oggetti e animali. Si vedano le sculture di Michail Matjusin fatte di radici in cui l’artista sintetizza le tensioni verso la luce e la lotta con le intemperie, che diventano quasi degli essere eterei e umani al contempo, vibranti di vera energia. La natura è dunque la protagonista di molte opere degli avanguardisti e si fa mediatrice delle ansie e delle inquietudini proprie di un periodo storico molto travagliato e subito colte dall’animo sensibile degli artisti. Guardiamo ad esempio la grande tela (larga oltre 2 metri) di Nicolaj Rerich ‘Malaugurio’ del 1091: il lugubre paesaggio sembra presagire gli avvenimenti nefasti che seguiranno, la guerra e la rivoluzione, il disagio sociale, e esprime la disillusione nei confronti della civiltà moderna. Guardare all’Oriente significava immergersi nelle culture primitive, riprendere il contatto con le culture pagane, farsi suggestionare dal linearismo delle stampe cinesi e giapponesi, perdersi nel fascino di paesi accoglienti ed affascinanti come il Turkestan, l’Uzbekistan, il Turkmenistan la cui produzione di tappeti influenzò i nostri artisti in modo evidente. Così il cubismo di opere come ‘Strada di Taskent’ di Victor Ufimcev (1924), ‘La strada verso il villaggio’ di Nikolaj Karachan (1931), nascono da queste suggestioni piuttosto che dall’arte parigina. ‘Il vuoto’ della Goncarova o ‘cerchio nero’ di Malevic esprimono l’inquietudine e lo smarrimento dell’uomo moderno davanti alla vastità dell’Oriente; ‘la macchia nera’ di Kandinskij si perde tra colori ed elementi astratti propri del viaggio spirituale che un territorio misterioso come l’Oriente gli suggerisce. Le stampe giapponesi spinsero al cambiamento cromatico e ad una nuova concezione spaziale fulcro della rivoluzione formale dell’Avanguardia russa; la passione per le ‘cineserie’ portò ad opere come ‘Corsa dei cavalli’ di jakulov (1906) in cui non c’è prospettiva, ma una sovrapposizione verticale di piani, o al bellissimo ‘Chinoiserie’ della Goncarova (1912-1913) in cui è evidente che dell’arte cinese essi colsero il valore intrinseco del segno calligrafico, la stilizzazione come segno visivo. Si vedano ad esempio le diverse chine intitolate ‘Motivo grafico’ di Petr Mituric. Negli oli di Natal’ja Goncarova, di Maskov, di Koncalovskij lo spazio si ribalta e il fondo si fa in primo piano, il falso tende a sovrapporsi e confondersi col vero. Tra i rituali più antichi che suggestionarono i nostri artisti e che contribuirono alla definizione delle concezioni cosmogoniche dell’Avanguardia, vi è il rituale della danza estatica, accompagnata spesso dal tamburo sciamanico (in mostra un esemplare meraviglioso della fine del XIX sec.) che ritroviamo nella forma ovale in Kandinsky (‘Ovale bianco’ e ‘Composizione n. 217’) il quale affermerà che “la creazione è libera e tale deve restare, essa non deve cioè sottostare ad alcuna pressione con l’unica eccezione della pressione esercitata dalla ‘voce interiore’”.
Silvia Andriuoli