Lo scorso 8 giugno, nell’ospedale Ichilov di Tel Aviv, si è spento Yoram Kaniuk. Scrittore, pittore, giornalista, critico teatrale, è morto all’età di 83 anni, perdendo la sua lunga battaglia contro il cancro. Passerà alla storia per esser diventato il primo ebreo non religioso d’Israele per scelta personale. Chiese infatti al Ministero dell’Interno di poter cambiare lo status religioso della propria carta d’identità da “ebreo” a “nessuna religione”. Questo fu quello che di fatto accadde nel 2011, allorché un tribunale approvò la sua petizione di poter essere considerato ebreo per nazionalità e non per religione. Un nuovo verbo entrò a far parte del linguaggio comune da quel momento in poi: lehitkaniuk, (tradotto in inglese “to Kaniuk oneself”), ovvero compiere la sua stessa azione. Ma la fama di quello che è ritenuto uno dei più grandi scrittori nazionali, non deriva certamente da questo singolo episodio. Egli apparteneva alla generazione di coloro che crearono lo Stato di Israele e fu inoltre un testimone della guerra arabo-israeliana del 1948; fatto quest’ultimo, che volle raccontare nella sua ultima opera letteraria, l’omonima “1948”. In principio furono gli anni tra il 1945 e il 1947 a segnare fortemente la sua vita. Iniziavano infatti ad arrivare in Israele i sopravvissuti alla Shoah, una tragedia che, nell’immediato dopoguerra, non si era ancora svelata in tutta la sua atrocità a chi ne era scampato. “Sin da bambini abbiamo dovuto imparare a costruire uno Stato, cominciavamo dal nulla. Partecipai alla prima battaglia senza aver mai sforato un colpo prima (…) Dovetti imparare a combattere in battaglia”, queste le parole utilizzate per descrivere la sua giovinezza, in una delle ultime interviste con Claudio Pagliara, corrispondente RAI da Gerusalemme. Kaniuk aveva 18 anni quando, come lui stesso spiegò, si trovò a combattere fra due cause configgenti. “Io stavo lì, fra due ingiustizie che s’incontravano. Non due giustizie, due ingiustizie, riflesse l’una nell’altra e riflesse su di noi”. La guerra e le vittime dell’Olocausto, che continuavano a sopraggiungere in nave nel Paese, furono “il centro della sua vita”. Eppure negli ultimi anni della sua esistenza Kaniuk era un uomo disilluso, che non credeva più nell’immediatezza della pace fra palestinesi e israeliani. Difficile infatti trovare una soluzione fra due popoli da lui stesso definiti “testardi”, per i quali l’annessione di territorio da parte di uno a discapito dell’altro, rappresenterebbe sempre e comunque un’ingiustizia. La soluzione, secondo lo scrittore, non può considerarsi immediata, servono infatti passi graduali, che potrebbero richiedere un lungo periodo, probabilmente “non nei prossimi 50 anni”. L’atteggiamento critico dell’ultimo Kaniuk non ha risparmiato neanche quello stesso Stato per la cui indipendenza combatté a soli 18 anni: la Destra al potere e i numerosi elementi religiosi, che a suo parere non incarnano la vera religione, starebbero mettendo in dubbio la sicurezza stessa d’Israele. Invitato da Pagliara ad esporre la sua attuale opinione sullo Stato in cui era nato 83 anni fa, rispose: “Non sono sicuro che Israele possa sopravvivere (…) Amo la religione ebraica e la conosco. Ma penso che ci sia una deriva messianica che non condivido”. Tale visione pessimistica, crediamo vada inquadrata all’interno di una vita, quella di Kaniuk, che ha conosciuto non solo la guerra sanguinosa tra due popoli, ma anche quella contro la malattia, parimenti feroce nel suo caso, che lo portò ad un lungo coma di tre settimane. Tutti lo davano per morto. Ma sua moglie no. Lei tenne per tutto il tempo la sua mano raccontandogli delle storie. Giunse il risveglio, e fu proprio a partire da questo che Kaniuk trasse la forza per portare a termine, più di 60 anni dopo, “1948”, quel libro che più volte provò a comporre nel corso della sua esistenza, invano. Un’opera che testimonia l’esperienza di una giovane, che come tanti altri, mise a repentaglio la propria vita, probabilmente non con l’obiettivo futuro di creare uno stato marcatamente religioso. Ora ci sarà da chiedersi se la sua eredità intellettuale, che non può prescindere dalla difesa della laicità dello Stato, sia o no destinata ad avere un seguito e soprattutto un’applicazione concreta.
Silvia Di Pasquale