La storia può innalzare un uomo a vette di fama e prestigio che mai avrebbe sognato di raggiungere in vita, altre volte invece essa ha il potere di gettare nel fango la memoria di una persona, anche al di là dei suoi reali demeriti. È forse per questo che la Storia, quella con la esse maiuscola, ci affascina da sempre. Essa, infatti, rimane pur sempre un racconto fatto da qualcuno e come tale, sempre parziale. Ancora di più questo vale per la storia antica, quel periodo cioè in cui le fonti erano tutt’altro che certificate e l’obiettivo degli storiografi era dichiaratamente quello di commuovere i lettori, affascinarli e non raccontare la fredda cronaca degli eventi. Molte sono le ingiustizie che il caso o la faziosità degli storici hanno perpetrato, queste si sono poi trasmesse nel corso dei secoli, creando degli stereotipi che ancora oggi sono difficili da scardinare. Tra i tanti meriti della mostra in programma al Museo delle Navi Romane di Nemi, c’è anche quello di restituire dignità storica ad una figura assai controversa del periodo imperiale. L’esposizione celebra il nuovo assetto del museo nemorense, che oggi ospita tutti i reperti rinvenuti nella recente campagna di scavi, nel sito ove sorgeva il tempio di Diana Aricina. Il “pezzo forte” della mostra, collocato strategicamente al centro della grande sala espositiva, è la statua di una gigantesca figura ammantata, assisa in trono, che fa pensare al ritratto di un imperatore. La scultura, realizzata in marmo di Thasos, reca un interessante fregio posizionato sullo schienale, costituito da un timpano triangolare, mentre il montante sinistro presenta un capitello eolico e colonnine corinzie, decorato con l’immagine di una vittoria alata e di una gorgone. È molto probabile che essa fosse, all’epoca, policroma e dorata, a riprodurre lo stile dei troni macedoni. Ma ciò che colpisce maggiormente è che la figura rappresentata indossa un particolare tipo di calzari aperti, molto simili a quelle caligae speculatoriae, tanto amate da un famoso imperatore romano. Proprio lui è il protagonista di questo viaggio affascinante, a lui è dedicata l’esposizione, Caio Giulio Cesare Germanico, meglio conosciuto come Caligola. Chiacchierato, discusso e da molti odiato, fu uno dei sovrani che più divise gli animi dei sudditi e deve la sua imperitura fama a fonti molto spesso ostili. Basti solo pensare alla rappresentazione del suo volto, restituitoci da 66 ritratti, di cui 34 però realizzati dopo la damnatio memoriae, quella orrenda condanna che cancellava dalla faccia della terra e dalla storia la memoria di uomini che si macchiavano di tradimento o cospiravano contro lo Stato. Frequentemente esso era uno strumento politico, utilizzato per ottenere vendette personali, come nel caso di Cornelio Gallo, grande poeta contemporaneo di Catullo, punito per la sua presunta relazione con la figlia di Augusto. Solo tre imperatori subirono questa terribile onta e Caligola fu uno di essi, ma nei ritratti salvatisi dalla damnatio non c’è traccia di quella turbata mens, di quella follia, di cui parlano Seneca e Svetonio, che fu il maggiore artefice della “fortuna” dell’imperatore e colui che trasformò Caio Germanico in Caligola. È pur vero però che il giovane sovrano era ossessionato dalla propria immagine, a tal punto da proibire la realizzazione di ritratti celebrativi di persone ancora vive non autorizzati da lui e da distruggere quelli degli uomini illustri già traslati da Augusto dal Campidoglio al Campo Marzio. Pretese poi che fosse scolpita una statua con le sue fattezze, che venisse ogni giorno vestita con i suoi abiti reali e altre in cui fosse raffigurato come gli dei del pantheon romano, addirittura come Venere, Giunone e Diana. Si spinse fino ad avere un atteggiamento di aperta sfida nei confronti di Giove, che infatti non compare in nessuna delle monete coniate sotto il suo regno, la qual cosa suggerì poi il sarcastico commento di Cassio Dione che afferma che Caligola si rese conto di non essere un dio quando morì. Ma non bastano questi tratti pittoreschi a descrivere la complessità della sua figura. Innanzitutto Caligola aveva nelle sue vene tanto il sangue di Augusto, quanto quello di Antonio; egli infatti era figlio di Germanico e di Agrippina Maggiore, figlia di primo letto di Augusto, il che ne faceva un Iulius, mentre il padre Germanico, grande generale di Tiberio, era figlio di Druso Maggiore e Antonia Minore, figlia di Marco Antonio, perciò egli apparteneva anche alla gens Antonia. Questo lo rendeva poco amato dal senato e in generale passibile di profondi e infamanti sospetti, che lui, tra l’altro, non fece nulla per allontanare, fino ad arrivare all’abolizione dei tradizionali festeggiamenti in onore della vittoria di Azio (31 a.C.), che sancì il trionfo definitivo di Augusto su Antonio. La mostra di Nemi, dunque, ci insegna che per giudicare un uomo occorre capire chi ci parla di costui, chi tramanda il suo testamento spirituale. Dal cavallo fatto senatore, dagli eccessi, dal morboso amore endofamiliare fino al ponte di barche, costruito per unire Baia a Pozzuoli, e ai calzari che gli danno il nome, essi sono solo alcuni aspetti della personalità di un sovrano e, se a raccontarli fosse stato qualcun altro, sarebbero stati diversi.
Box informazioni:
Caligola. La trasgressione e il potere
Nemi Museo delle Navi Romane – Via del Tempio di Diana, 13
info: tel. 06 9398040
Patrizio Pitzalis
Foto per gentile concessione della Soprintendenza Archeologica per i Beni del Lazio