Il 18 Aprile a Roma la casa del jazz ha festeggiato i suoi primi cinque anni di vita. In un clima festoso fra bambini che giocavano, giovani coppie sdraiate sull’erba, gruppi d’amici che si divertivano a scattare fotografie; musicisti in preda all’ansia, e molte altre situazioni, attendevamo tutti noi l’inizio del primo concerto. Tre sono stati gli eventi musicali, ma siamo qui per raccontarvi del concerto Hot Club De Jazz, un tributo all’incommensurabile Django Reinhardt. O almeno così sarebbe dovuto essere.
Ora, il nome appena citato vi suonerà forse in modo più o meno sconosciuto, eppure con buona probabilità è possibile che abbiate ascoltato almeno una delle sue canzoni. Prendiamo Minor Swing ad esempio, suo cavallo da corsa; Non è un caso se tale canzone è stata recentemente utilizzata come sigla per una nota pubblicità televisiva: sono sufficienti pochi secondi di questa musica per vedere i nostri corpi muoversi a tempo di swing. Il motivo è semplice: nella musica di Django c’è una ricchezza espressiva infinita. A cui tutti possiamo attingere.
La sua storia è anch’essa straordinaria. Già chitarrista famoso, Django vide compromesso in giovane età l’utilizzo di due dita della mano sinistra (4 e 5 dito) in seguito ad un incidente “domestico”. La roulotte in cui viveva prese fuoco. Il giovane talento non rinunciò al suo sogno: fare il musicista. Così s’inventò una tecnica strumentale del tutto innovativa e personale che gli permise di dar voce al suo animo così impetuoso e genuino. Un illustre storico inglese di riconosciuto spessore internazionale, Eric Hobwsan, scrisse: “E’ significativo che Reinhardt sia l’unico europeo ad essere jazzista famoso”.
Come vedete in realtà il concerto è un pretesto per raccontare di Django. Anche perché l’esibizione è risultata decisamente sotto tono. A dimostrazione: in pubblico decisamente poco entusiasta. Sul palco Xavier Rigaut (armonica, voce); Nicola Puglielli (chitarra); Luca Pagliani (chitarra); Roberto Nicoletti (chitarra) Pino Sallusti (contrabbasso) hanno ondeggiato fra momenti di reale empatia e feeling a precipitosi vuoti sonori, che hanno lasciato gli spettatori visibilmente interdetti. Troppo. La musica, in particolare il Gipsy Jazz (ovvero il genere creato da Reinhardt) ha connaturata in se una pulsazione calorosa e irrefrenabile che sa coinvolgere i presenti in toto. Questo è accaduto, ma a tratti.
In Minor Swing (terza canzone in scaletta) il Rigaut si è lanciato in un solo che ha riscosso il primo vero e sentito applauso. Ma la note di quel solo erano le medesime che Django fermò in una delle sue tante registrazioni. L’armonicista ha lodevolmente interpretato con animo sincero tale citazione, ma c’è dell’oltre che non è stato raggiunto. Al contrario, terminato il solo, si sono alternati momenti di incertezza nell’interplay che inducevano a pensare che tale esibizione non rendeva il dovuto l’omaggio. Sono seguite altre canzoni memorabili quali: Dafne, Djangology; Nuages. Tutti capolavori, nella dimensione della canzone swing, e non solo.
Viero Menapace