In verità è poca cosa parlare di ‘europeismo’ del costume ciociaro, riferendoci solamente alla sua componente artistica!
Dalle ultime decadi del 1700 -ma documenti evidenti ancora prima- la creatura in costume ciociaro rappresentava agli occhi degli artisti la visione materializzata degli ideali classici. Il primo incontro avvenne a Roma, all’epoca meta e nostalgia, che vi convenivano a frotte, da secoli, pur nelle condizioni logistiche del tempo. Invero il costume come inteso nel folklore, quale abito della tradizione, si formò e quasi si creò gradualmente, quando l’umanità ciociara iniziò ad avvedersi che la loro vestitura stava costituendo oltre che benvenuto motivo di sostentamento anche motivo di attrazione, vista la curiosità suscitata negli artisti europei e perciò iniziò ad averne cura, a personalizzarlo in maniera più attenta e gradevole, a sistemare in maniera definitiva quelle strane calzature che ora iniziarono a differenziarsi e a chiamarsi ciocie, perfino ‘classiche ed eleganti, degne di essere ai piedi di Diogene’, come osservò un profondo studioso della metà del 1800. Il costume ciociaro ha una tradizione e una origine diversa dagli altri costumi europei quale lo scozzese, il tirolese, il bavarese, il brettone, ecc. All’origine era la vestitura della classe più bassa della società, cioè dei contadini braccianti, i giornalieri, quelli che alle frontiere passavano, di norma, senza documenti, come i mendicanti. E questa è la fonte e origine di tutto: non ‘costume’ bensì letteralmente ‘stracci’, come in realtà li definivano i pittori, ma stracci colorati, sfavillanti: tutto fatto in casa con il lino e la canapa che si coltivavano normalmente e con la lana della pecorella sempre presente nelle famiglie. Le donne confezionavano quanto da indossare da loro e dagli altri e poi con il ricorso agli ingredienti a portata di mano quali il guado o la robbia o la corteccia del castagno o il mallo della noce o la ginestra o la fuliggine ecc. i panni venivano tinti in casa: e perciò nessun rosso uguale ad un altro, nessun blu, nessun marrone, nessun verde: era tutta una sinfonia! E poi già fine 1700 dalla Valcomino emigrazione verso le Paludi Pontine e verso Roma. Si immaginino per le vie di Roma affollate di preti di frati di monache di trovatelli di orfanelli di chierichetti di turisti quanto si evidenziassero e quasi prorompessero i ciociari in quei colori! E venne il successo! E gradualmente, come detto, gli stracci inziali si trasformarono in vestiture originali: si formò il costume ciociaro.
L’aspetto singolare del costume ciociaro è che esso sin dalla sua prima apparizione sul palcoscenico della Roma dell’epoca immediatamente divenne vivace motivo di richiamo e di ammirazione degli artisti europei: francesi prima di tutti, poi tedeschi, inglesi, russi, scandinavi, svizzeri…un’autentica apoteosi, unica e tipica del costume ciociaro. E grazie alla sensibilità ed attenzione dei giovani artisti transalpini e anche al loro spirito di avventura, ecco che apparve sulla ribalta della storia la figura fino allora sconosciuta del brigante ciociaro quale imperversava sulle montagne di Sonnino soprattutto e di Itri. E già nel primo ventennio del 1800 nei famosi Salon parigini apparvero per la prima volta nella storia le pitture che illustravano la figura affascinante del brigante, che da allora divenne un protagonista della letteratura e della composizione musicale e soprattutto della pittura e della scultura. Era nata la pittura di genere all’italiana! Sintomatico il fatto che certamente l’opera d’arte più riprodotta e più replicata e più copiata e più conosciuta di tutto il XIX secolo in Europa fosse proprio un quadro di soggetti ciociari e cioè quei ‘Mietitori nelle Paludi Pontine’ di L.L.Robert che si ammira al Louvre a Parigi. Ma siffatta prerogativa di afflato europeo che già dall’inizio contraddistingue, e accomuna, il costume ciociaro, e solamente il costume ciociaro, si riversò anche su certe località della Ciociaria: per esempio già dai primi anni del 1800 i Tedeschi nelle loro peregrinazioni per nuovi soggetti e stimoli, misero piede ad Olevano, a quell’epoca sicuramente un piccolo gioiello incastonato nei Monti Ruffi, oggi un osceno e farneticante conglomerato di cemento armato: gli artisti se ne innamorarono e sono letteralmente migliaia le opere pittoriche da essi dedicate a Olevano e dintorni: qualcuno vi prese moglie, qualche altro la scelse a luogo di vita, gli artisti tedeschi in particolare vi acquistarono tutto un bosco, un querceto, noto come la Serpentara che ancora oggi appartiene al Governo Tedesco che vi organizza annualmente soggiorni di studio per gli studenti; e qui acquistarono anche, più tardi nel secolo, tanto innamorati dei luoghi, un antico palazzo, Casa Bardi, che ancor oggi appartiene alla
Germania, pur esso con finalità didattiche. Ma tante località soprattutto dei Monti Simbruini divennero luogo di residenza e di ritrovo degli artisti europei: Cervara, Subiaco, Saracinesco, Anticoli, Paliano con spunti anche a Picinisco, Cassino, Montecassino, Sonnino, Sezze, Cori, Priverno, le Paludi Pontine, Civita d’Antino, tardi nel secolo, e ancora oggi!, divenuta luogo di elezione dei pittori scandinavi specie danesi, come Sora… A poco a poco la dimestichezza con gli artisti stranieri ebbe come conseguenza che molti ciociari e ciociare iniziarono a seguire i loro artisti o a trasferirsi nelle grandi città europee soprattutto Parigi e Londra e Monaco e a Berlino e quindi il ciociaro e la ciociara nei loro splendidi costumi divennero una visione consolidata anche nelle loro patrie, perciò lecito dedurre che assurgesse al ruolo quasi di una specie di lingua franca! Nei musei e pinacoteche europei è arduo non rinvenirvi almeno un quadro ciociaro. Presenze inimmaginabili al Museo d’Orsay, alla Neue Pinakothek, in certi musei inglesi, la prevalenza assoluta nei musei danesi, tanti a Mosca e a San Pietroburgo. In Italia le vocazioni sono altre quindi si verifica che le opere appese nelle pinacoteche di Marsiglia o di Nantes o di Cardiff o di Mosca siano di gran lunga più sostanziose di opere ciociare di quelle nelle italiche istituzioni.
Michele Santulli