“Il cambiamento non è mai doloroso. Solo la resistenza al cambiamento lo è”.
È, questa, tra le massime filosofiche di Buddha, e forse, quella che può meglio illuminare la nostra società, così confusa, così agitata, una società che sembra aver smarrito i suoi punti di riferimento e le proprie certezze, e naviga a vista, in un doloroso mare.
Forse, se la smettessimo di remare contro, se la smettessimo di resistere a quei profondi desideri di cambiamento, quelli positivi, che ci consentono di raggiungere la nostra oasi di serenità, senza attaccarci continuamente ai beni materiali, forse inizieremo a camminare su una nuova strada, lastricata di nuova fiducia, speranzosi di raggiungere la mèta finale.
È la via buddista, quella a cui, sempre più persone si avvicinano, incuriosite, stimolate, attratte, trovando in essa nuovo vigore e nuova speranza.
È un interesse sempre più crescente quello verso le culture orientali, come se in esse l’Occidente cercasse di riscoprire nuovamente se stesso, dopo essersi smarrito tra materialismo e superficialità.
Il Professore Fabian Sanders, esperto di cultura buddista, docente di Lingua tibetana classica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore di diversi interessanti testi sull’argomento, sostiene che “il buddhismo riesce ad offrire una via verso la quiete della mente, verso la liberazione da pensieri superflui, da quegli inutili rumori di fondo, che riempiono le nostre quotidianità; è offrire una strada verso la libertà dalle sofferenze”.
È l’Occidente che ha smarrito la sua identità, che ha visto crollare i suoi valori assoluti, ha perso quelle certezze che, da sempre, sembrava offrirgli la politica, ad esempio, ha perso quelle convinzioni ancorate in un credo astratto e trascendente, che, in qualche modo, lo rassicuravano, è riuscito a trovare nel buddhismo un nuovo orizzonte, una risposta non dogmatica, una risposta pratica non legata a tutti quei complessi riti, una via che illuminasse il suo cammino accendendo la luce della proprio mente.
“L’insegnamento è come una zattera che serve per approdare all’altra sponda. L’intelligente, dopo aver attraversato il fiume, non si caricherà la zattera sulle spalle”, affermò Buddha, sottolineando, proprio, l’inutilità di doverci creare conoscenze e sovrastrutture mentali da portare con noi dopo questo cammino di risveglio, ma utili mezzi, invece, per attraversare questo nostro faticoso percorso.
“Il buddhismo tibetano presenta molteplici differenze, rispetto a quello più tradizionale – sottolinea il Professor Sanders – sia nella pratica, che per bagaglio culturale e tradizionale; è quello che ha mantenuto più aderenze con il messaggio rivelatore del Buddha, quello che ha subito minori corruzioni, quello che l’ha incorporato meglio in sé, donandogli anche tratti artistici unici”.
Ed è, tra i ‘sistemi’ buddhisti, quello che oggi trova maggiori attrazioni nel corrotto e smarrito mondo occidentale, “per quell’intrinseca sua continua ricerca introspettiva, che conduce ad un rilassamento da tutte quelle tensioni e dal continuo stress che viviamo quotidianamente, e che rende sempre così difficoltoso integrarsi nel nostro odierno mondo urbano”, ricorda il Professor Sanders.
“Il buddhismo non può essere concepito come una religione, nella sua accezione più classica – ricorda Sanders – non è un credo che presenta rigidi riti e dogmi, e per questo si avvicina più velocemente all’uomo, perché non ha filtri; è un percorso interiore di illuminazione della nostra anima, liberandola progressivamente dai pesi e dalle sofferenze del nostro vivere quotidiano; essa presenta una concezione cosmologica inclusiva, che tutti possono abbracciare, seguendo il proprio percorso personale. Un cammino che ci consentirà di ritrovare un’armonia con il mondo esterno, un equilibrio, una pace interiore, di cui abbiamo veramente bisogno”.
Una verità illuminata, quella di Buddha, che, semplificando, si basa, principalmente su tre aspetti fondamentali: l’impermanenza, l’origine dipendente e la sofferenza”.
La sofferenza è la Prima Nobile Verità, e non può essere assimilata al nostro concetto di dolore, ma piuttosto ad una condizione che che ci rende insoddisfatti ed incompleti. Non un giudizio positivo o negativo sulla sofferenza, ma la semplice presa di coscienza di ciò che provoca questo nostro stato d’inquietudine, uno scrutarsi in profondità per iniziare un vero percorso che conduca alla sua cessazione, senza vivere più di illusioni, con le speranze in un futuro prima o poi, migliore, o negando la sua esistenza compensandola con beni materiali.
Accettare la sofferenza, scrutarci dentro per comprenderne l’origine di questo malessere, abbandonarci per liberarci da ogni cosa per raggiungere, così l’illuminazione salvifica, è questa la strada da intraprendere.
L’impermanenza è l’accettazione del divenire, che “sviluppata e assiduamente praticata, porta all’abbandono delle passioni sensuali, all’abbandono della passione per l’esistenza materiale, all’abbandono della passione per il divenire, all’abbandono dell’ignoranza, all’abbandono e all’annullamento di ogni presunzione circa l’’Io sono’”, come affermò lo stesso Buddha.
Perché non esiste un io egoistico, ma un io dipendente da ciò che ci circonda, in un legame forte ed indissolubile; le nostre esistenze sono in un costante e dinamico sviluppo, che si basa su una sinergia tra cause interne alla nostra stessa vita, come la personalità, le nostre esperienze, la nostra visione del mondo, e le situazioni esterne a noi. Siamo noi stessi che formiamo, in relazione con tutti gli altri, quell’unica entità vivente che chiamiamo universo.
La nostra vita ha significato solo se è in relazione alle altre, non possiamo, di conseguenza, ricercare la nostra felicità egoisticamente soddisfacendo i nostri desideri, non possiamo costruire la nostra felicità sull’infelicità degli altri: accendendo una lampada per qualcuno, quella luce inevitabilmente illuminerà anche il proprio cammino.
È forse questa la vera illuminazione, abbandonare i nostri egoismi, i nostri desideri, le nostre passioni che appagandoci calpestano altri, per cercare un’armonia universale, dove la propria serenità non confligge con quella degli altri.
Una verità, quella buddhista, che non si basa su credi, su riti, su convenzioni arbitrarie, ma fondamentalmente, sul dubbio: “Amici non siate impazienti di credere a una cosa anche se tutti la ripetono, anche se è scritta nei sacri testi o, ancora, affermata da un maestro del popolo. Accettate solo ciò che si concorda con il vostro giudizio, ciò che i saggi e i virtuosi condividono, ciò che reca realmente frutto e felicità”.
“Il dubbio può essere un elemento positivo – afferma Sanders – perché può guidarci sul sentiero della verità, spingendoci oltre i nostri limiti. Un dubbio che, però, non può mai divenire scetticismo o più semplicemente paura, perché questa, poi, ci attanaglia, ci paralizza nel nostro percorso di conoscenza, né deve mai essere sciolto dalla fede cieca ed assoluta in una verità trasmessa, o attraverso le parole di qualcun altro, perché, così, cerchiamo verità solamente fragili. I dubbi terminano solamente grazie alla nostra pratica, alla meditazione, che ci conduce ad una conoscenza più profonda e più vera”.
Perché “nella mente ha origine la sofferenza; nella mente ha origine la cessazione della sofferenza”, ed è lì che il buddhismo ci spinge ad iniziare il nostro percorso di conoscenza più profonda, per ritrovare la nostra serenità e la pace dell’universo in cui viviamo.