In un’intervista rilasciata a Vogue Christian Dior definì Roberto Capucci, che all’epoca aveva appena ventisette anni, “il miglior creatore della moda italiana”. Un endorsement, come si direbbe oggi, che lo collocava di fatto e di diritto tra i grandi della moda. L’enfant prodige nasce a Roma nel 1930. Studia al liceo artistico e all’Accademia di Belle Arti. Nel 1950 inaugura nella Città eterna il suo primo atelier. L’anno dopo segna il suo debutto internazionale. Capucci partecipa ufficiosamente alla prima edizione delle sfilate collettive di moda italiana organizzate a Firenze, realizzando vestiti per la moglie e le figlie dell’organizzatore. Gli addetti ai lavori, giornalisti e buyer, rimangono impressionati dall’eleganza delle signore e incominciano a fioccare ordini d’acquisto dei suoi abiti. Nel 1952 partecipa ufficialmente alla kermesse fiorentina e già nelle creazioni dell’epoca è possibile rintracciare alcuni temi fondamentali della sua ricerca artistica, in particolare l’interesse per le geometrie e i volumi. Da attento osservatore dell’opere d’arte e di quello spettacolo che la natura costantemente offre a chi ha occhi per guardare Capucci inaugura una moda altamente sperimentale. Il noto abito Nove Gonne (in foto), creato nel 1956, nasce da un’ispirazione semplice eppure potente: i cerchi concentrici formati dal lancio di un sasso nell’acqua. Un semplice abito in taffetà rosso composto da nove gonne concentriche tagliate sul davanti e lasciate cadere nella parte posteriore diventa un grande classico della haute couture. La creazione della cosiddetta “Linea a Scatola” che, in aperta opposizione con la moda del tempo, sagomava corpo e spazio con forme geometriche gli valse, nel 1958, il prestigioso Oscar della Moda. Da precorritore e da scopritore quale è Roberto Capucci si trasferisce a Parigi dove, nel 1962, apre il secondo atelier. Gli anni parigini imprimono un’ulteriore svolta alle sue creazioni. Da un punto di vista tecnico gli abiti assumono forme e volumi sempre più complessi. Quelli sono gli anni della sperimentazione di materiali insoliti come la plastica, il plexiglass, il metallo, le fibre hi-tech. Nel 1968 torna in Italia inaugurando una nuova fase stilistica. Non cambiano solo forma e sostanza nella moda di Capucci ma anche e soprattutto la concezione che ha di se stesso in quanto artista. L’anelito alla libertà e all’autonomia, che poi rappresenta la cifra stilistica più profonda del suo lavoro, lo spinge ad assumere una decisione fondamentale: non far più sfilare le sue creazioni seguendo il calendario dell’alta moda. I defilé si terranno solo quando e dove il Maestro ritiene più opportuno. Nel 2005 nasce La Fondazione Roberto Capucci in partnership con l’Associazione Civita. Quest’istituzione conserva e valorizza l’Archivio Capucci. Ha come scopo quello di trasmettere ai giovani saperi e conoscenze utili per lavorare nella moda e nel design. Gli eventi, le attività e i riconoscimenti ottenuti da questa fondazione e dal suo fondatore sono innumerevoli (per una descrizione dettagliata si consulti il sito fondazionerobertocapucci.com). Noi vogliamo chiudere questo viaggio nell’universo di Roberto Capucci riportando una sua celebre affermazione sull’attuale condizione della moda: “C’erano donne come Silvana Mangano o la principessa Pallavicini o la contessa Crespi. Eleganti e meravigliose, sempre. E ora? Cammini in centro e vedi solo pizzerie e donnone con l’ombelico scoperto, lo slip che spunta come l’orrida spallina del reggiseno, lo stivaletto a spillo bianco, per carità. I jeans tutti rotti. Che fascino è mai questo? Icone oggi? Nessuna.”
Pasquale Musella