IL ‘COLPO SCVRO’ E LA FINE DELLE PROVINCE

Ad Atina si chiamava ‘colpo scuro’, cioè quello che chiudeva e concludeva un fuoco pirotecnico, il colpo  più solenne,  l’ultimo, il più maestoso, il più fragoroso.

Lo stesso sta accadendo in Ciociaria e in particolare nella Ciociaria frusinate, la più ciociara delle tre, in tutti gli aspetti. La soppressione e abolizione delle Province, a detta della gran parte, è una delle poche iniziative veramente felici che con grandi spasimi i governi sono riusciti a portare a termine, pur se ancora assistiamo agli ultimi sussulti: un sistema di carrozzoni informi e parassitari che hanno rappresentato la causa prima, diretta e indiretta,  ove più ove meno, del degrado architettonico, paesaggistico e anche morale del Paese. La loro fine comporta una revisione degli aspetti territoriali che negli obbiettivi governativi prevedono accorpamenti e aggregazioni finalizzati alla più funzionale ed economica governabilità. Per gran parte di esse non sorgeranno  problemi specifici  di assestamenti geografici e geopolitici in quanto tutte, di regola, quando furono costituite una novantina  di anni addietro, erano rispettose dei loro  addentellati territoriali  storici tradizionali.  

Unicamente, a mio avviso,  l’esteso territorio a Sud di Roma racchiuso tra il fiume Garigliano, gli Appennini e il Mar Tirreno, da sempre ombra e appendice di Roma,  subì all’epoca  la maggiore spersonalizzazione e frantumazione nella riorganizzazione amministrativa e territoriale a opera del Regime Mussoliniano: infatti il Regime trovò davanti  a  sé un territorio, l’unico in Italia, a essersi conservato uniforme e indiviso e identico da sempre, sin dai tempi più remoti e sempre complementare e  tributario solamente di Roma, dai tempi di Augusto  al fatidico 1870 e anche dopo: essere stata parte costitutiva dello Stato della Chiesa per dieci-quindici secoli ha comportato un ruolo unico in Italia: non ci fu mai dunque la necessità o la evenienza o la contingenza di interventi radicali a seguito di guerre o di altro: stessa popolazione, stessi governanti, medesime situazioni sociali e umane per almeno venti secoli. L’unico dettaglio al di fuori di questa armonia antropologica e sociale e amministrativa  fu che ad un certo punto della Storia quella parte  di territorio racchiusa tra il fiume Garigliano/suo prolungamento fino a Minturno e il fiume Liri/suo prolungamento ideale fino a Terracina, divenne provincia  del Regno di Napoli col nome di  Alta Terra di Lavoro. Di conseguenza l’antica e secolare unitarietà e omogeneità divennero appannaggi di due entità differenti: lo Stato della Chiesa in massima parte e il Regno di Napoli.

Ed ecco alcuni ‘colpi scuri’ il cui fragore inizia a sentirsi  in giro in siffatta evenienza della dissoluzione delle province: Arpino se ne va con l’Abruzzo, Latina con Viterbo, Frosinone con l’Africa, Cassino con Caserta e Capua e altro analogo. L’ipotesi anzi la possibilità della riunificazione dell’antica regione  sotto un nome comune, non si pone, almeno fino adesso: la parola riaggregazione, la parola ricompattazione, la parola riunificazione  non si conoscono: e siccome  si ignora la storia, allora  non si conoscono  le vicende passate: il libro della storia è restato intonso, per cui si parte affrancati dai paletti e dai punti di riferimento che servono da guida: all’arrembaggio dunque, a vista, senza bussola! Ed ecco  i ‘colpi scuri’: io me ne vado con Avezzano perché mi dà più soldi, io con Viterbo perché ha i peperoncini, io con l’Africa così sono certa di comandare,  io con Capua e Caserta che siamo così congeniali e affini grazie alla camorra che ci unisce, e così via sparando. Se poi ci si ricorda un solo istante dei nostri  uomini politici,  allora si capisce tutto… e mal si prevede. In questi giorni è apparsa una nota del giornalista A.Porcu che, pur se con termini scientifici e tecnici, sostiene chiaramente che gli uomini  politici presenti in Ciociaria, essendo venute a mancare -fortunatamente!!- certe condizioni una volta determinanti al loro operare,  ora non sono in grado di svolgere il ruolo per cui sono chiamati e che, in alternativa, coloro in grado di guardare, ed operare, alla prospettiva futura, sono solo gli imprenditori: io avrei citato ancora prima, i sindaci.

Un grande momento storico,  come tale unico, di quelli cioè che accadono in circostanze eccezionali e straordinarie, si sta parando dunque all’attenzione dei nostri  governanti ed amministratori: la scomparsa ed estinzione delle province e quindi la questione del territorio. E per i ciociari detta questione è particolarmente spettacolare: si tratta di Frosinone, di Latina e della parte meridionale della provincia di Roma che, se tornate assieme, ricreano e ricostituiscono l’antico secolare territorio noto una volta come Lazio Nuovo, poi Campagna di Roma, poi Marittima e Campagna e che guarda indietro a venticinque secoli di storia comune, a partire dagli Ernici, dai Volsci, dagli Osci, Equi, Sanniti… Oggi la Grande Provincia. Se informati ed edotti della loro storia e del loro passato,  se affrancati da campanilismo e analoghe picciolerie,  solo i sindaci possono, a mio avviso, dare l’abbrivio e indicare  la direzione alla ricompattazione e riaggregazione quindi alla rinascita dell’antica regione: il ruolo dei sindaci si è enormemente qualificato e connotato. E se così, si tratta unicamente di trovare  anche un nome unificante: quello  storicamente consolidato e sperimentato è: Ciociaria. In caso contrario sentiremo ‘colpi scuri’…

Michele Santulli

 

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