Quando si pensa al noir, di solito, vengono in mente le atmosfere fumose e decadenti descritte nei romanzi di Chandler o del più recente Ellroy. Storie di violenza e morbosità che raccontano lo stretto rapporto che il crimine ha, in certi ambienti, con la vita quotidiana delle persone comuni. Alcuni potrebbe rimanere sorpresi nello scoprire che in Italia c’è (e c’è stata) una solida e interessante tradizione di questo particolare genere. Si tende a identificare, come padre del noir italiano, nientemeno che Leonardo Sciascia il quale, nel Giorno della civetta e in Todo modo, presenta già quegli elementi di trasferimento del crimine dalla sfera privata a quella pubblica, tipici del genere. Esso, infatti, nasce come sottogenere del poliziesco e, più specificatamente, dell’hardboiled nel quale viene superata la figura del detective “scientifico” alla Holmes, per far sì che le indagini diventino il pretesto per esaminare i tormenti interiori dell’uomo. L’evoluzione è poi avvenuta più tardi con le opere di Scerbanenco prima e di Lucarelli e Dazieri poi, spesso trasportate sul piccolo e grande schermo. In questo contesto letterario, ben codificato ormai, si inserisce il lavoro di Stefano Caso, che porta però degli elementi decisamente nuovi e spiazzanti. Il suo Il male relativo racconta la vita di un malvivente milanese, Tito Ghisolfi, che in realtà si chiama Gianmaria, nome che lui detesta perché “da checca”. È un rapinatore e un ricattatore di mezza età ma in un’altra vita è stato un maestro elementare, cacciato per le violenze perpetrate sui suoi scolari. “Come in un cartone animato giapponese”, Tito è l’uomo della Tati, una prostituta sieropositiva, sfogo preferito di spiantati, tossici, disperati o ricconi che amano il brivido di farsi un’appestata. Il socio di Tito è Renè, Renato Felzi, che vive nel mito di Vallanzasca ma, al contrario del famoso bandito, ha un aspetto orribile e un naso incredibilmente grosso. Tito e René rapinano ville ma, con la loro attività, si attirano le ire di una banda di rumeni che vengono accusati puntualmente al posto loro. Così, in un lungo e tormentato viaggio in fuga dalla malavita dell’Est, tra battone e prostitute di classe, sbandati di ogni tipo, extracomunitari rapinati con brutalità, ma anche studenti pusher, boss ormai dimenticati e mogli cocainomani e ninfomani, i due precipiteranno nel vorticoso e tragico gorgo di assurdità e violenza che tutti chiamiamo vita. Questa è la novità di Caso, che supera l’eroe e l’antieroe per creare il non-eroe, il quale non suscita la simpatia del lettore per motivi filosofici alla Nietzsche o sociali alla Pasolini, ma per la sua “umanità” bestiale che tanto ci ricorda la nostra, in alcuni momenti della vita. In un certo modo, il romanzo di Caso ricorda alcune opere di Irvine Welsh, diventato famoso per Trainspotting, ma autore anche di alcuni romanzi noir come Il lercio, in cui un detective sessista, omofobo, stupratore, ladro e assassino si crede ed è creduto il migliore e si impegna a fondo nel risolvere il caso dell’omicidio di un giovane di colore. La sua empietà gli viene però ricordata, ogni giorno, da un feroce eczema che gli divora i genitali e da un verme solitario che gli ricorda la parte buona della su anima. Caso però supera anche Welsh; per Ghisolfi non c’è redenzione, pentimento o morale, lui crede di vivere la vita che gli spetta e pertanto non ha rimpianti. Il linguaggio del romanzo è una mimesi perfetta del gergo dei bassifondi milanesi, in cui la berta è la pistola e l’impermeabile è il preservativo, espressioni di quell’affascinante armatura sintattica che è rappresentata da ogni lingua settoriale. Inoltre, lo stile del romanzo aiuta a veicolare il messaggio profondo dell’opera, che potremmo definire civile in un modo un po’ straniante, il quale svela come l’essenza dell’abiezione più becera spesso si confonde con la suadenza maliarda di altre essenze, non meno pericolose e meschine. Il libro è edito dalla casa editrice digitale goWare, che si divide tra la passione per l’editoria e la fiducia nelle moderne tecnologie, come supporti scrittori del futuro. Un’opera davvero brillante e ispirata, per amanti del genere ma anche per chi non conosce l’hardbolied, scioccante per certi versi ma profondissimo.
Patrizio Pitzalis