“In nome della madre” s’inaugura la Vita

“In nome della madre” è la narrazione, dal punto di vista di Miriàm/Maria, della sua gravidanza: dall’annuncio dell’avvento all’offerta finale di suo figlio a Dio con la preghiera/richiesta di non portaglielo via prima del compimento del trentesimo anno (“Sia nessuno questo tuo Ieshu, sia per te un progetto accantonato, uno dei tuoi pensieri usciti di memoria. Ti pregano già tanto di ricordare questo e quello. Scordati di Ieshu”). “Il vento di Marzo l’avvolse e lasciò in lei un seme, in pochi minuti Miriàm da ragazzina diventa donna senza conoscere uomo”: questo l’incipit della meravigliosa e misteriosa narrazione di Erri De Luca. Miriàm non è la donna sacra delle Scritture, ma la consacrata: una semplice ragazza della Galilea che, all’improvviso, si trova a dover affrontare le severe leggi ebraiche circa l’avere nel grembo un bambino “concepito” al di fuori del matrimonio. Per la legge ebraica, infatti, la sua gravidanza era considerata illegale, un adulterio, dunque punibile con la morte per lapidazione. Giuseppe “bello da baciarsi le dita”, racconta Maria, cerca un motivo qualsiasi pur di evitare la lapidazione della sua fidanzata, che l’avrebbe costretto a tirare lui la prima pietra contro la donna che ama e in cui crede, ma motivo non c’è e Maria nell’accettazione tace (“Lo so Miriàm, ma ora dobbiamo trovare una soluzione, dare una versione della tua gravidanza fuorilegge”). Nonostante tutta la comunità sia contro di lui, Giuseppe sfida tutte le leggi per l’amore viscerale che sente verso la sua donna. Sullo sfondo di un’Israele occupata dall’esercito romano, è narrato il viaggio verso sud per il censimento, durante il quale Miriàm capirà che quel viaggio, lungo e lontano da Nazareth, sarebbe avvenuto comunque, per far nascere quella creatura lontano da sguardi cattivi e “sputi dietro i suoi passi”. Come ogni madre, durante il viaggio, parla al suo bambino ancora in grembo, gli spiega l’alto e il basso, la luce e la notte, cosa sono le stelle, cosa vedrà alla sua nascita. Miriàm partorisce sola, senza sapere come e perché; le sue mani sanno, con il coltello di Giuseppe taglia il cordone ombelicale, lava il bimbo e lo allatta. Dopo il parto, stringendo il bambino al petto sazio di latte ha delle immagini, come premunizioni, di ciò che sarà il futuro di suo figlio, ma non ne vede la morte. Da uomo non credente, ma soprattutto da uomo, studioso da lungo tempo di yddish ed ebraico per tradurre la Bibbia, Erri De Luca, in questo libro, è riuscito a descrivere la storia di Giuseppe e Maria con parole estremamente delicate e reali. “In nome della madre” è un racconto di una bellezza rara e di un amore immenso, viscerale, in primis di Giuseppe verso Miriàm e di un legame unico e assoluto tra madre e figlio fino al distacco dal corpo, attraverso la nascita. Erri De Luca riesce, in poche pagine, a mettere in luce la forza, il silenzio e la difficile accettazione di Miriàm di un destino che, da madre, sente implacabile, immutabile, al quale non può opporsi ma solo chiedere che avvenga il più tardi possibile. Una storia vera perché narrata in prima persona dalla donna, dal suo punto di vista e, per la prima volta, non da quello degli uomini o del bambino. La protagonista del racconto è una figura di donna vera, fatta di carne e sangue, donna impaurita ma forte, tanto forte da sfidare leggi e villaggio senza mai abbassare la testa. Una donna che partorisce da sola, ed è questo il maggior prodigio di quella notte di natività: la perizia di una ragazza madre, la sua solitudine assistita, come lo stesso De Luca afferma nella Premessa del libro. Una donna che difende suo figlio, solo suo, da tutti e, che per quel figlio, non teme nemmeno la morte per lapidazione, come la legge comandava.

Cinzia Murgia

Erri De Luca, In nome della madre, Feltrinelli 2007, 79 pagine, 7,00 euro

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