Tutto è cominciato un mercoledì, era il 17 giugno 1970, il luogo fatale dell’incontro fu Città del Messico e più precisamente lo stadio Azteca. In quell’afosa serata messicana (notte avanzata in Italia) si disputò la prima puntata di un lungo romanzo, che ha visto nel corso degli anni lo stesso ineluttabile epilogo. Quel giorno sul campo di gioco si affrontarono l’Italia e la Germania, allora ancora dell’Ovest, per la semifinale del mondiale messicano. I ventidue protagonisti, al fischio d’inizio, ancora non lo sanno ma stanno per entrare nella storia del calcio e nella leggenda. Tutti sappiamo come è finita, ognuno di noi conosce quella partita azione per azione, spasimo per spasimo. Tutti, nessuno escluso, nemmeno quelli come me che sono nati undici anni dopo. Perché quell’incontro ha cambiato la storia del calcio moderno e ha segnato il destino di tutti i match successivi; la “Partita del secolo” è stata ribattezzata e fuori dallo stadio messicano c’è una targa commemorativa a ricordarlo. In realtà non fu una partita bellissima, ma ricca di colpi di scena e di emozioni, sarebbe potuta finire 1 a 0 per gli Azzurri, se all’ultimo minuto dei regolamentari non avesse segnato il difensore Schnellinger. La Germania ci schiacciò in verità e nei supplementari andò in vantaggio per due volte, ma l’agonismo azzurro, la follia dei suoi interpreti ribaltò entrambe le volte il risultato fino al meraviglioso rigore in movimento di Gianni Rivera. Nel cuore di ogni italiano, alzato fino a tardi a vedere l’eroica tenzone sorse un tripudio inimmaginabile perché sarebbe stato troppo brutto, troppo ingiusto perdere quella partita e soprattutto perdere contro quelli là. E qui inizia la storia, perché Italiani e Tedeschi non sono mai stati amici; gli antenati di quest’ultimi hanno messo fine all’immenso impero costruito dagli antenati dei primi, nel corso del XX secolo più volte il popolo italiano ha dovuto sottomettersi, potremmo dire addirittura umiliarsi di fronte a quello tedesco, durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche nel Dopoguerra quando molti Italiani si trasferirono in Germania per lavorare e lì subirono la discriminazione degli immigrati. Ancora oggi, seppur tutti e due i Paesi sono fondatori dell’Unione Europea, all’interno di questa istituzione la Germania cade spesso nella tentazione di comportarsi da maestra, bacchettando gli altri membri e naturalmente più di tutti l’Italia, questo Paese di cialtroni, ladri, scansafatiche e approfittatori. Ma come in un girone dantesco, la razza teutonica subisce un sublime e sollazzante contrappasso: sul campo di calcio non ci battono mai, lì siamo noi i maestri e loro gli scolari che chinano il capo e ascoltano la lezione. Da quel mercoledì di giugno di 44 anni fa hanno più volte visto i loro sogni di supremazia infranti contro undici cialtroni in maglia azzurra, hanno perso la finale del mondiale spagnolo del’82, una partita facile per gli Italiani dopo aver sconfitto Brasile e Argentina, loro hanno poi vinto il mondiale in casa nostra nel ‘90 e noi per ripagarli abbiamo trionfato in quello a casa loro nel 2006, sconfiggendoli in semifinale. Abbiamo poi vinto anche la semifinale dell’Europeo del 2012 in Polonia e Ucraina, con i muscoli di Balotelli sbattuti in faccia al cancelliere tedesco Angela Merkel. Certo, si potrebbe dire che è una misera rivalsa nei confronti di un Paese più ricco, prospero, organizzato e forse civile del nostro, ma lo sport è una parabola di vita potente e attraverso l’allegoria che rappresenta è possibile scoprire i caratteri contrapposti di due popoli, le loro convinzioni e la loro essenza e allora anche chi sembra perfetto e invincibile può mostrare le proprie debolezze. La compiuta organizzazione della macchina teutonica, che non conosce ostacoli e fa dell’efficienza assoluta la sua arma più potente si inceppa spesso (anzi sempre) quando incontra l’imprevisto, ciò che non può considerare o immaginare. Di fronte alla fantasia e all’arte di arrangiarsi di un popolo cialtrone si blocca e fallisce, perché per loro è assolutamente imponderabile l’estro, loro non hanno bisogno di immaginare e per questo saranno sempre una corazzata d’acciaio che vacillerà di fronte alle meschine trappole di chi è più piccolo di loro. Gary Lineker, grande centravanti dell’Inghilterra degli anni Ottanta e Novanta, ha detto: “Il calcio è un gioco semplice: undici uomini rincorrono una palla e alla fine vincono i Tedeschi”. Caro Gary, vincono i Tedeschi, se non incontrano gli Italiani.
Patrizio Pitzalis