Quindi non era solo la fame di ribalta o di ambizione la sua,era anche una vendetta, giunta senza studiarla, ma mano a mano che si compiva,si evidenziava la volontà di desiderare sempre di più la propria inutile rivalsa.
L’autore, Lucio Ambrosi (Marco), si da in pasto a temibili lettori, senza paura di essere svalutato in tema di punti di vista e/o di opinioni su quello che concerne il tran tran di un ospizio che avrebbe dovuto essere, almeno per un paio di giorni, un tempio delle sfide di cervellotici giocatori scacchisti.
Il libro, un insieme di fatti realmente accaduti e altri di fantasia. Siamo sulla riviera romagnola nel 1962 e si narra di tre ragazzi appassionati di scacchi, che, sapendo che si disputa un torneo importante a Cesenatico, decidono di andare a misurarsi con altri candidati. Quel torneo si tiene in una ex colonia sul mare, ora diventata un ospizio, in verità un pò chiacchierato, ma pur sempre un ospizio gestito, bene o male, da suore.
Marco, che è dei tre quello più curioso, come al solito e non contraddicendo il proprio carattere, invece di concentrarsi sul torneo si perde in visite solitarie del sito. E incontra Dante (uno dei protagonisti), un non vedente, ospite di quella casa di riposo, il quale viene tenuto quasi come se fosse segregato, e la superiora delle Orsoline, ordine del quale facevano parte le gestrici, da qualche anno sembra non curarsene troppo, anzi… lo lascia vegetare. L’idea, secondo me, era di farlo imputridire su quello scranno il più possibile, dandogli l’opportunità di ricevere pochissime visite, anche da parte delle suore stesse.
E’ un esempio di come la “Elle del cavallo”, che è una mossa di un pezzo degli scacchi, si possa trasferire su una persona che non è retta. E quella suora ne è la prova provata, nel senso che aggettivi come: linearità o correttezza non le si addicevano né come donna né tantomeno come religiosa. Ma suor Eugenia (l’altra protagonista), questo il nome della superiora, era presa da un desiderio di vendetta verso chi, ancora bambina, l’aveva violentata, facendola crescere madre.
Mi è sempre esauriente immaginare quello che più mi piace, e mi è piaciuto disegnarla come se fosse stata una ragazza sfortunata figlia di un incesto. Allora ho cercato di trovarle un padre di quel genere. Quel padre l’aveva fatta diventare una persona che viveva chiusa nella sua sfera di cemento sotto il nome di “suora”. Ora, al di fuori della vita religiosa che conduceva. Irrequieta com’era diventata, e assetata di denaro e di potere, aveva escogitato una tremenda vendetta verso chi l’aveva violentata anni addietro, non accontentandosi di averlo reso cieco: “Quindi non era solo fame di ribalta o di ambizione la sua, ma una vendetta giunta senza studiarla, poi mano a mano che si compiva si evidenziava, e la centellinava sempre più.”
La risoluzione del romanzo avviene solo ben cinquant’anni dopo sul porto di Rimini recuperando un’auto dall’acqua. All’interno si troverà quello che successe cinquant’anni prima.
Dopo diverse casualità accadute si saprà che altri personaggi erano compresi nell’orbita di questa storia. Dante, che in fondo non cercava altro che un po’ di quella serenità che non aveva di certo dato a sua figlia si rivela quel che era stato, solo un padre maniaco e padrone. Suor Eugenia aveva diretto quella casa di cura con una tranquillità infernale, con una calma quasi demoniaca dovuta dalla sua sete di vendetta, fra l’altro riuscita, macinata in pazienti anni di lavoro e soffrendo la presenza e la vista di un padre ormai disadattato a tutto, ma che portava i segni lasciatogli.
Ambrosi L.F.