“La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino ha vinto l’Oscar come miglior film straniero. La pellicola aveva già conquistato il premio europeo Efa, il Golden Globe, poi il Bafta, l’Oscar britannico e ora l’ambitissima statuetta d’oro. Ha avuto la meglio su “Albama Monroe-Una storia d’amore” del belga Felix Van Groeninger, “Il sospetto” del danese Thomas Vinteberg, “The Missing Picture” del cambogiano Rithy Panh e “Omar” del palestinese Hany Abu-Hassad. “Grazie all’Academy, grazie a Toni, Nicola, agli attori, ai produttori e al team che ha lavorato al film. Grazie a chi mi ha ispirato: Federico Fellini, i Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona. Grazie a Roma e a Napoli e alle mie personalissime grandi bellezze: Daniela, Anna e Carlo. Grazie a mio fratello Marco, mia sorella Daniela. Questo è per i miei genitori: Sasà e Tina. Grazie mille», queste le parole di ringraziamento del regista, pronunciate con un accento non esattamente british, mentre era accompagnato sul palco a ricevere il premio da Toni Servillo, protagonista del film e dal suo produttore Nicola Giuliano. “Negli ultimi giorni la pressione è stata forte. Sentivo un forte senso di responsabilità verso il mio Paese dove tutti parlavano del film. E io sentivo il peso di partire da favorito”, ha affermato il regista italiano alla stampa. “Ma ora sono felice, sono davvero felice e mi ci vorranno mesi prima di capire cosa è veramente accaduto”, ha poi proseguito.Salgono così a 14 gli Oscar conquistati dai film italiani. Il primo andò a “Sciuscia’” di Vittorio De Sica nel 1947, che poi vinse nuovamente con “Ladri di biciclette” nel 1950. Nel 1957 trionfò “La Strada” di Federico Fellini, che vinse anche nel 1958 con “Le notti di Cabiria”. Nel 1963 Fellini fece il bis con “Otto e mezzo”, considerato uno dei suoi capolavori ed una delle migliori pellicole cinematografiche di tutti i tempi; poi vinse ancora nel 1974 per “Amarcord”. Terzo Oscar nel 1965 a Vittorio De Sica per “Ieri, oggi e domani”, che poi conquistò una quarta statuetta nel 1971 per “Il giardino dei Finzi Contini”. Nel 1970 venne incoronato “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri. Nel 1987 Bernardo Bertolucci vinse l’Oscar come miglior regista per “l’Ultimo imperatore”. L’Italia tornò a trionfare nella categoria dei film stranieri con “Nuovo cinema paradiso” di Giuseppe Tornatore nel 1990. Nel 1992 l’Oscar andò a Gabriele Salvatores per “Mediterraneo”. L’ultimo fu vinto 15 anni fa da Roberto Benigni con “La vita è bella”, che ricevette anche l’oscar per la migliore colonna sonora e il miglior attore protagonista.Come ha scritto Alessandra Levantesi su La Stampa il 21 maggio 2013: “La grande bellezza sta a La dolce Vita come la Via Veneto di oggi sta alla Via Veneto del 1959. Adesso è solo una strada di hotel di lusso dove è vano ricercare il clima notturno di un tempo: i caffè affollati di artisti e intellettuali, le scorribande di divi e fotografi, i night-club frequentati da una variegata fauna di nobili, perdigiorno e letterati”. Sorrentino regala un ritratto amaro di una Roma in cui esiste gente che finge di essere ciò che più non è. Il senso della decadenza si evince anche dalle ormai storiche frasi pronunciate dal protagonista Jep Gambardella, un giornalista di costume e critico teatrale navigato, che si dimena tra le varie feste futili della Capitale, arrivando a convincersi dell’inutilità della sua esistenza: “Le vedi queste persone? Questa fauna? Questa è la mia vita. E non è niente”, e poi ancora: “Sono belli i trenini che facciamo alle feste, vero? Sono i più belli del mondo… perché non vanno da nessuna parte”. Jep è parte di quel nulla esistenziale che accumuna tanto lui, quanto chi gli è vicino. “Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla”. Un grido silenzioso di autocritica nei confronti di una parte di società che vive una realtà parallela e opposta a quella di chi porta concretamente avanti il mondo, tuttavia esistente e dunque non frutto della pura immaginazione di Sorrentino, come qualcuno ha detto.Questo è un Oscar differente rispetto a quello vinto da Benigni nel 1999. La Vita è bella regalava al mondo una storia di italianità positiva, che trovava una forma di salvezza nella bestialità di un periodo buio della storia dell’umanità. Dopo quindici anni, il film di Sorrentino presenta una categoria di personaggi di cui non possiamo certamente vantarci, bensì vergognarci. Perciò: gioire o meno di questa vincita? Ovviamente sì. Ma non tralasciando un particolare: il film parla di una realtà nostrana. Dopo l’entusiasmo dovremmo passare alla riflessione, ricordando a noi stessi che “ieri” non torna e che non si può vivere in eterno di un passato “mitico”. Urge cambiamento. La “dolce vita” è finita e le sue copie contraffatte lasciano spazio solo alla pura ironia. Di autentico c’è ben poco.
Silvia Di Pasquale