In ogni museo del pianeta si può esser certi di rinvenire un’opera d’arte che illustra il personaggio in costume ciociaro o un capolavoro che ritrae una modella o un modello ciociari.
Eppure questo costume decantato dalla maggior parte degli artisti europei quali Corot, Manet, Degas, Leighton, Cézanne, Sargent, Whistler, van Gogh, Picasso -per restare nella crema della crema- lungo un arco di tempo di almeno centocinquantanni, continua ancora oggi ad essere negletto e ignorato, anche nelle sedi dove meno si immagina. Si rammenterà che tre o quattro anni fa il parigino Museo d’Orsay realizzò una grande mostra dedicata esclusivamente al personaggio in costume ciociaro come illustrato dagli artisti francesi dell’Ottocento ma che intitolò: Paysans du Latium/contadini del Lazio, col risultato inevitabile che il visitatore davanti a quei quadri poteva esprimere: “ma che bel costume indossavano a Rieti o a Viterbo o a Latina!” Fu dunque sonoramente sciupata l’occasione direi storica per fare finalmente il punto della situazione e di tracciare il corretto sentiero di comportamento.
Omettendo di ricordare qualche altra significativa manifestazione di pochi anni addietro che pur vertendo in tutto o in parte sul costume ciociaro, ne ignorava perfino il termine, in questi giorni assistiamo ad una iniziativa attuata dall’Accademia di Francia a Roma in cui riscontriamo l’ultima imperdonabile, a mio avviso, discrepanza nonché afasia: tale prestigiosa istituzione che direttamente e indirettamente ha giuocato il ruolo fondamentale nella conoscenza e nel successo planetario del costume ciociaro e dei modelli, sta svolgendo un evento artistico in occasione dei 350 anni dalla sua fondazione: 1666-2016, intitolato appunto “350 anni di creatività”: dove sono tali discrepanza ed afasia? Per commemorare questi 350 anni di vita l’Accademia mette in mostra, in prevalenza, sculture, quadri, disegni, ritratti ed altro realizzati da studenti e direttori nel corso del loro soggiorno presso l’Accademia. Prima di addentrarci, si ricordi che dalla fine del 1700 e fino alle prime decadi del 1900, se si passava davanti all’Accademia di Francia a qualsiasi ora del giorno fino alle sette-otto di sera, davanti al suo portone era sistematicamente presente una umanità ciociara, in attesa di venir ingaggiata per le pose alle lezioni agli studenti di pittura e di scultura, e lo stesso spettacolo variopinto e colorato si svolgeva su per la contigua Scalinata di Trinità dei Monti in attesa di altri artisti: uno spettacolo divenuto ingrediente della immagine di Roma in tutto il secolo. E alcuni direttori della istituzione, essi stessi celebrati pittori quali Horace Vernet, Victor Schnetz e più tardi nel secolo, Ernest Hébert, si realizzarono come artisti in molta parte nella creazione di opere ciociare. Un terzo elemento rende incomprensibile quanto andremo qui appresso a costatare e che cioè l’autorità ecclesiastica dell’epoca acconsentiva a che le modelle, tutte ciociare, fossero autorizzate a posare solamente nelle aule dell’Accademia: e nacque il mestiere della modella!| Epperò se si esaminano le circa cento opere e documenti che sono stati esposti al pubblico in occasione di questi “350 anni di creatività” -la esposizione è aperta fino al 15 gennaio 2017- ebbene di ‘ciociaro’ non è presente nulla, né come costume né come modello, nemmeno il termine medesimo menzionato! Se si tiene a mente che in questo lasso di tempo, una iniziativa analoga in collaborazione e armonia, sta avendo luogo all’Accademia di San Luca, dove in esposizione si osservano opere che vogliono ricordare solo il momento classico, accademico, mitologico, religioso di detta Istituzione, allora l’intenzione e volontà palesi e appariscenti dell’Accademia di Francia è quella, in analogia alla Acc. di San Luca, di far coincidere i 350 di creatività dell’Accademia solo ed esclusivamente con il classicismo accademico, religioso e mitologico cioè di circoscrivere e limitare la loro secolare personalità artistica unicamente in tale ambito ignorando il resto, ritenuto probabilmente indegno e volgare. Il che, come agevolmente si deduce, è una palese e manifesta stortura nonché vulnus storico: basti rammentare, tra l’altro, che un profondo storico romano dell’arte, Stefano Susinno, rilevò e chiaramente scrisse che già alle prime decadi del 1800 la pittura di genere e di paese o folkloristica stava soppiantando e mettendo da parte quella classica consolidata, mitologica, religiosa, accademica… Voler dunque, come si legge, “ripercorrere la storia dell’arte francese dal 1666 al 2016” ignorandone nei fatti allo stesso tempo un terzo dello spazio temporale e la produzione artistica relativa -più ricca e conosciuta, sostengo, di tutta quella dell’intero periodo in commemorazione!- si cade in uno iato
programmatico quantomeno imbarazzante. E’ vero che Ingres e David hanno lasciato una incancellabile impronta ma si tenga a mente anche che Baudelaire già nel 1845, allorché curatore del salone parigino, vedendo appesi anche quell’anno tanti quadri ciociari, sbottò: “basta con questi soggetti!” In effetti era stato scoperto un nuovo filone artistico che gli artisti stessi dell’epoca, già dal 1827, definirono: “pittura di genere all’italiana”.| Inoltre non è che la immagine del contadino diviene ‘nobile’ o ‘classica’ se la dipinge Gauguin o Millet e non le centinaia di artisti francesi che hanno riempito i musei del pianeta delle loro opere ciociare: anche perché forse che i ciociari dipinti da Manet da Cézanne da Corot da Van Gogh da Picasso non acquisiscono il titolo alla ‘classicità’ o alla ‘nobiltà’ come quelli menzionati di Gauguin o di Millet, se è la mancanza di tale requisito, la ‘nobiltà del soggetto’, che ha indotto le due prestigiose Accademie a cancellare una pagina gloriosa della Storia dell’Arte?
Michele Santulli