Maxi sequestro: oltre 5000 reperti archeologici sottratti al mercato nero

Un giro di affari milionario per uno smercio di opere d’arte che collegava le grandi città del mondo da New York a Tokyo, ma aveva il suo centro a Basilea, in Svizzera. E’ ciò che è emerso da una lunga indagine condotta dai carabinieri del Nucleo operativo TCP (Tutela Patrimonio Culturale) che ha permesso di recuperare 5.361 reperti archeologici, illegalmente sottratti da scavi clandestini nel nostro paese. I beni hanno un valore complessivo di circa 50 milioni di euro, provengono per la maggior parte da Sicilia, Lazio, Calabria, Campania e Sardegna e risalgono ad epoche comprese tra il VIII sec. a. C. e il III sec. d. C. L’operazione è stata un successo: «si tratta del più grande quantitativo di reperti archeologici mai recuperati in un’unica operazione», ha commentato il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini. Durante la conferenza stampa tenutasi al Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano il 21 gennaio, il generale del Nucleo operativo del TCP, Mariano Mossa ha spiegato in dettaglio l’operazione di recupero.

Innumerevoli sono gli oggetti che tornano al patrimonio culturale italiano: tra cui anfore di ogni tipo, crateri, statuette, affreschi, armature e molto altro. Dietro la soddisfazione, però, c’è l’evidenza di una triste realtà: un mercato nero che affonda le radici nella nostra penisola, la sfigura con scavi clandestini e la priva per sempre di pagine di storia. Come dichiarato dalla Soprintendente dei Beni Archeologici, Maria Rosaria Barbera «il risarcimento non sarà mai totale», oltre ai tesori perduti oramai per sempre, c’è il problema della decontestualizzazione del reperto ritrovato: una tomba depredata è come un libro fatto in mille pezzi, ogni manufatto sottratto illegalmente dal territorio senza le opportune ricerche e indagini archeologiche, non sarà mai più in grado di raccontarci la sua storia.  «Non ritorneranno mai nel loro contesto originario», riempiranno sicuramente le stanze di un museo ma il loro valore storico è molto probabilmente compromesso.

Questo immenso tesoro era conservato in cinque grandi magazzini a Basilea ed era di proprietà di un noto mercante d’arte italiano, Gianfranco Becchina. Le indagini hanno ricostruito una rete formata da tombaroli, restauratori, collezionisti senza scrupoli e noti musei internazionali. Un vero romanzo criminale dell’arte, in grado di utilizzare le più moderne tecnologie per collegare gli Stati Uniti e l’Estremo Oriente, in una compravendita occulta dai confini sconosciuti. Tra le scoperte portate alla luce dalle forze dell’ordine, vi è il “Dossier Becchina”: un inquietante e immensa documentazione delle opere che entravano nel giro di Basilea, provviste di foto, schede dettagliate e lettere di consegna. Il maxi sequestro è soltanto l’ultimo capitolo dell’Operazione Teseo: un’indagine durata dieci anni che collega l’Fbi ai carabinieri di Roma e che aveva condotto al recupero del vaso Asteas, conservato illegalmente al Getty Museum di Malibù (California) e tornato nel suo territorio d’origine, il Sannio. Becchina, dopo esser stato arrestato a Linate, è già a piede libero perché il reato è caduto in prescrizione. Come sottolineato, in occasione della conferenza stampa, dal ministro Franceschini: «Penso serva un inasprimento delle pene per questo tipo di reati perché sono contro la collettività. Stiamo ragionando anche su questo con il ministero della giustizia».reperti archeologiaRecuperati i reperti arriva il problema della loro collocazione definitiva. Probabilmente sarà allestita una mostra per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla realtà del saccheggio e del mercato nero dell’arte italiana. Il ministro Franceschini ha però intenzione di restituire i manufatti alle regioni di provenienza, in maniera di arricchire i musei minori sparsi sul territorio con l’obiettivo di vivacizzare le realtà locali ed avvicinare i cittadini al mondo dell’archeologia.

 

Francesco Consiglio

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