Ci sono forme d’arte considerate minori e spesso dimenticate o giudicate con superficialità, che hanno però la singolare capacità di raccontare, nella maniera più affascinante, la storia dei luoghi in cui sono conservate. L’uso di affiggere targhe e lapidi commemorative ha una tradizione antica e risale all’epoca dei Romani. In tutte le città più importanti del paese, Roma, Firenze, Venezia, Bologna ma anche nei centri più piccoli si possono trovare questi “squarci di passato”, alla portata di chiunque vi passi davanti. È davvero emozionante pensare che, transitando per caso in una via, ci si possa imbattere nella memoria storica di quei luoghi, narrata in poche e ispirate parole. È come leggere la città, entrare in contatto con il lato quotidiano di eventi e personaggi con una semplicità e immediatezza che nessun libro di storia può offrire. Si tratta di vere e proprie testimonianze archeologiche che ci raccontano la vita privata dei grandi uomini oppure ci tuffano nel ricordo degli avvenimenti cui quei luoghi hanno assistito. Le più diffuse sono quelle che commemorano il soggiorno di grandi personaggi nei posti dove sono affisse, quelle che cominciano con “Qui visse…”. E così, passeggiando per Firenze, può capitare di imbattersi nella lapide che ricorda che in quell’edificio, proprio quello, è nato nel 1477, da Giuliano de Medici e Fioretta del Cittadino Carrozzaio, Giulio che diventerà nel 1523 papa Clemente VII. Oppure si può imparare che il grande Giuseppe Verdi dimorò, negli ultimi anni della sua vita, all’Hotel Milan e qui morì nel 1901, in una via ironicamente dedicata ad un altro intellettuale del Risorgimento, Alessandro Manzoni. Ma ci sono anche targhe che ci rivelano le frequentazioni italiche di personaggi che non avremmo mai immaginato avessero soggiornato nel Bel Paese. Così, a Torino per esempio, viene commemorato il luogo dove visse il grande filosofo Nietzsche, che scrisse proprio lì il suo capolavoro Ecce homo. Oppure scopriamo che il poeta francese Valéry, figlio di madre genovese, visse proprio nella città della lanterna la più drammatica esperienza della sua vita, che lo legò per sempre al capoluogo ligure. Ancora, forse non tutti sanno che il presidente Ho Chi Minh, futuro avversario degli Stati Uniti, ha trascorso diversi soggiorni in Italia, negli anni Trenta, in missione internazionale per la difesa della libertà dei popoli. Ce ne sono centinaia in tutta Italia che ricordano il luogo in cui nacque Collodi, padre di Pinocchio, in cui Gian Lorenzo Bernini scolpì i suoi capolavori o Shelley lavorò al suo Prometeo liberato. La lista è lunghissima. Poi ci sono le targhe che immortalano non i personaggi o gli eventi, ma l’intera città perché citata o omaggiata dai grandi. Come quella che si trova a San Leo, in provincia di Rimini, che ricorda, con una retorica altisonante e un po’ comica, la citazione della cittadina fatta addirittura dal sommo vate, Dante Alighieri, nel suo capolavoro più grande. Infine ci sono le lapidi che ricordano i grandi fatti storici, purtroppo spesso violenti e funesti. Una delle targhe più conosciute a Roma è quella che si trova in Piazza del Popolo, dedicata alla memoria dei carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari, che furono gli ultimi uomini giustiziati dal potere temporale del papa, il 23 novembre del 1825, dopo un processo farsa senza prove né avvocati o difesa. Ancora, struggenti le pietre che ricordano il rastrellamento degli ebrei e, in generale, la violenza cieca del nazifascismo. In una di esse è raccontata la storia di Settimio Calò, che il 16 ottobre del 1943 uscì di casa e, quando vi ritornò, la trovò vuota, perché sua moglie Clelia Frascati e i suoi nove figli erano stati portati via dai soldati tedeschi e deportati ad Auschwitz. Settimio Calò non rivide nessuno di loro. In una di queste, poi, si chiede amore e pace e fu posta dai cittadini romani ebrei sopravvissuti alla deportazione e dalle persone solidali con essi. I sopravvissuti furono 17 su più di 2000 persone, 16 uomini e una donna, Settimia Spizzichino morta nel duemila. La lapide ricorda anche i neonati uccisi dalla barbarie antisemita con la frase “E non cominciarono neppure a vivere”. Dunque, quando si passeggia per le vie di una città, grande o piccola che sia, bisogna sempre alzare lo sguardo e leggere quelle scritte sui muri che potrebbero insegnare a chiunque ciò che non sa e che dovrebbe sapere.
Patrizio Pitzalis