Nedo Nadi L’eleganza del moschettiere

A Roma, nel rinomato quartiere Parioli, più precisamente in Piazza Santiago del Cile, c’è una targa, ormai scolorita dal tempo, che reca incise queste parole: «Insuperato campione alle tre armi». Non si tratta di una lapide militare ma del ricordo di uno dei più grandi personaggi dello sport italiano, forse il più abile schermidore di tutti i tempi, Nedo Nadi. Al contrario di quello che pensa la maggior parte delle persone, non è il calcio lo sport in cui l’Italia ha ottenuto più successi ma è, appunto, la scherma. Nel corso dei decenni, in ogni manifestazione internazionale, l’antica arte dei moschettieri ha recato tante gioie al movimento italiano e il capostipite di quelle vittorie è proprio Nadi. Le tre armi, cui fa riferimento la targa, sono la sciabola, la spada e il fioretto, le tre specialità della disciplina olimpica nelle quali il campione, nato a Livorno nel 1893, eccelleva senza distinzioni. Le caratteristiche che contraddistinguevano Nadi, in pedana e fuori di essa, erano una naturale eleganza e un desiderio inesauribile di libertà. Elementi, questi, che lo portarono a schierarsi fermamente contro la dittatura fascista, rischiando la vile aggressione di una squadraccia quando, proprio dalla casa di Piazza Santiago, si rifiutò categoricamente di esporre una bandiera alla finestra per festeggiare il fallimento di un attentato alla vita del Duce. La verità è che il grande campione, così naturalmente elegante (basta guardare alcuni filmati dimostrativi, nei quali sembra veramente danzare sulla pedana), non poteva che provare repulsione per il gretto istrionismo di Mussolini e del suo movimento. I gesti di Nadi sono d’insegnamento ancora oggi; sapeva passare dalla difesa all’attacco con la velocità di un cobra e la precisione di un compasso, sembrava quasi che i suoi piedi non toccassero terra, alla ricerca costante del bersaglio da colpire. Tale classe, naturalmente, era frutto del talento quanto del sacrificio e dell’allenamento. Il padre, Beppe, brigadiere dei pompieri e fondatore del circolo Fides a Livorno, era solito adottare con lui e con il fratello Aldo (altro grande schermidore) un metodo d’allenamento insolito: ogni errore, una scudisciata. A dodici anni, perciò, Nedo era già un astro nascente della scherma, che aveva imparato la specialità della spada, da sempre la più libera e per questo disprezzata dal padre, di nascosto. La prima vittoria arrivò alle Olimpiadi di Stoccolma, con l’oro nel fioretto individuale, ma fu solo il preludio ai trionfi di Anversa. In mezzo la Prima Guerra Mondiale, che combatté sul Carso, con il coraggio e la lealtà che gli appartenevano: prese alle spalle e catturò, praticamente da solo, un intero plotone di Austriaci, del resto non esiste disciplina sportiva più “tattica” della scherma, poi però rischiò dei severi provvedimenti per aver stretto amicizia con un collega schermidore. La consacrazione, come detto, arriva nel 1920 alle Olimpiadi di Anversa, dove Nadi vince cinque medaglie d’oro, nel fioretto individuale e a squadre, nella sciabola individuale e a squadre e nella spada a squadre, mancando l’en plein per un problema intestinale. La leggenda vuole che, quando il re del Belgio, Albero I di Sassonia-Coburgo lo vide per la terza volta sul gradino più alto del podio durante la premiazione gli disse: “Ancora qui, monsieur Nadi?” e il grande campione livornese rispose: “Con il Vostro permesso, conto di tornare ancora davanti a Sua Maestà” e così fu, per altre due volte! Fu commissario tecnico della nazionale olimpica che vinse molte medaglie a Berlino e a Los Angeles e Presidente della Federazione Italiana di Scherma, morì per un ictus a soli 46 anni ma la sua leggenda è rimasta davvero intatta. Un episodio, più di ogni altro riassume la grandezza di Nedo Nadi. Nei primi due decenni del secolo scorso era ancora in uso la tradizione di dirimere i contrasti con un duello e ci fu chi, follemente, decise di sfidare Nadi. Il giornalista Adolfo Cotronei era uno di quelli che dice sempre quello che pensa, sfociando spesso nell’insulto, ed ebbe a che ridire con Nadi decidendo perciò di sfidarlo. Dopo 10 secondi il campione aveva già messo a segno la stoccata decisiva ma subito si coprì il volto con le mani per l’orrore di quello che aveva fatto. Per fortuna, l’incauto giornalista fu salvato da un bottone della giacca (secondo altri dalla fibbia della cintura).

Patrizio PitzalisGI_IN14p018p019

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