Nel NOSTRO mare NON ci sono i coccodrilli!

“Nel mare ci sono i coccodrilli” è l’ultimo romanzo scritto dal brillante e giovanissimo Fabio Geda, presentato in occasione dell’ultima Fiera del Libro di Torino in presenza del protagonista: Enaiatollah Akbari. Ad onor del vero, Geda presta la penna alla storia vera dell’Ulisse-bambino e solo raramente interviene nella narrazione con brevi incisi in corsivo. Tutta la narrazione è caratterizzata da un’estrema delicatezza; la morte, costante compagna di viaggio, irrompe sulla scena con pudore. Enaiatollah, il bambino alto come una capra, spiega agli adulti italiani il suo dramma. Il dramma di un bambino appartenente all’etnia hazara che vorrebbe passare le giornate giocando a Buzul-basi (un gioco con le biglie), con gli amici del villaggio afghano, disperso in una valle tra Kabul e Kandahar, e invece si ritrova, alla tenera età di dieci anni, ad affrontare un viaggio, lungo cinque anni, che lo porterà dalla sua terra martoriata dalla guerra e dalla povertà, l’Afghanistan, all’Italia. Dall’Afghanistan al Pakistan, e poi l’Iran, la Turchia, la Grecia e, infine, l’Italia, Torino precisamente. È il diario di un piccolo uomo che non vuole dimenticare un padre assassinato e derubato delle merci che trasportava per conto dei pasthun, l’addio ai due fratelli e alla madre, la quale, privandosi del figlio, gli regala la libertà assoluta, non prima di fargli fare un giuramento solenne: non fare mai uso di droghe (“…ce ne sono che hanno un odore e un sapore buono e ti sussurrano alle orecchie che sapranno farti stare meglio di come tu potrai mai stare senza di loro…”); non usare armi “anche se qualcuno farà del male alla tua memoria, ai tuoi ricordi o ai tuoi affetti, insultando Dio, la terra, gli uomini”; non rubare: “i soldi che ti servono li guadagnerai lavorando, anche se il lavoro sarà faticoso”. Regole che un bambino di dieci anni promette di mantenere e che, nonostante le terribili difficoltà che dovrà affrontare, Enaiatollah osserverà sempre. Non vuole rimuovere dalla giovane memoria i pestaggi, i chilometri fatti nei doppifondi dei camion o nelle stive delle navi, i lavori da schiavo, la fame che consuma. Enaiatollah scala le montagne, marcia al gelo per attraversare il confine tra Iran e Turchia, tra morti assiderati, ai quali prende in prestito le scarpe (…le mie scarpe erano rotte, avevo le dita viola che non sentivano più niente. Ho visto un gruppo di persone sedute immobili sulla neve. Mi sono avvicinato e ho capito che erano morte di freddo. Così ho rubato gli scarponi ad uno di loro…”) e di fatica: “scomparsi nel silenzio, e io non mi ero neanche accorto”. Arriva ad Istanbul dopo aver passato tre giorni rannicchiato nel doppiofondo di un camion insieme a decine di altri sventurati. Da un certo momento in poi smette di esistere: “ho smesso di contare i secondi, di immaginare l’arrivo. Piangendo il pensiero e i muscoli. Piangendo il torpore e le ossa”. Poi il difficilissimo passaggio dalla Turchia alla Grecia, accompagnato da altri piccoli uomini, su di un gommone malandato dove si ripresenterà il terribile spettro della morte. All’età di quindici anni, Enaiatollah arriva in Italia, dove, finalmente, trova la salvezza e la libertà da ogni forma di schiavitù conosciuta e subita in precedenza grazie all’amore incondizionato di una famiglia torinese. La storia vera del nuovo Ulisse afghano ha dunque un lieto fine, ma non bisogna dimenticare che la maggior parte dei bambini che invece non hanno la stessa fortuna e muoiono durante l’attraversamento di mille confini e di mille nazioni. Vorrei concludere questa recensione prendendo in prestito le parole di Enaiatollah Akbari, pronunciate in occasione della presentazione della sua storia alla Fiera del Libro di Torino: “Avete detto a me poverino, ci sono tanti altri poverini che non hanno trovato una famiglia pronta ad accoglierli come me. Regalate loro un sorriso se potete, che è una gran cosa!

Cinzia Murgia

Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli – Storia vera di Enaiatollah Akbari, B.C. Dalai editore, 155 pagine, 16 euro.

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