Dal 6 Marzo protagonista a Palazzo Ducale di Venezia sarà protagonista Henri Rousseau nella veste di pittore. Straordinaria personalità che tocca trasversalmente tutte le sezioni dell’arte e della cultura, dalla politica alla pedagogia, alla filosofia, alla sociologia sarà in mostra con la sua personalissima e incantevole pittura nell’appartamento del Doge.
Ideatrice dell’iniziativa il direttore della Fondazione Venezia Musei (Muve) Gabriella Belli, insieme a Guy Cogeval. Con il titolo ‘Henri Rousseau. Il candore arcaico’, la mostra curata da Laurence des Cars e Claire Bernardi vuole sottolineare l’assoluta originalità di un maestro che tornò a puntare sul realismo, ma con uno sguardo magico, incantato, spiazzante.
Henri Rousseau, detto “il doganiere”, è una figura difficilmente incasellabile nel panorama della pittura francese. Autodidatta per formazione, Rousseau opera tra la fine ‘800 e l’inizio ‘900. Vive, quindi, il grande fermento da cui scaturiscono i principali movimenti d’avanguardia. Ma il suo lavoro si colloca di fatto ai margini di ogni scuola, movimento o tendenza. Questo non sta a significare che Rousseau vive isolato dal mondo. All’opposto egli coglie tutti i fermenti e le correnti del periodo trovando però un modo tutto personale non solo per esprimerle ma anche per andarvi oltre. E non perde occasione per esporre pubblicamente le sue opere: dapprima al Salon des Refusés, poi al Salon des Indépendants. Nonostante ciò, gode di scarsa attenzione da parte della critica del tempo. I suoi veri scopritori ed estimatori sono giovani artisti e letterati: Felix Vallotton, Robert Delaunay, Pablo Picasso, Guillaume Apollinaire e, più tardi, il pittore americano Max Weber.
Lo scopo della mostra vuole infatti essere anche quello di fare giustizia di una critica che lo ha spesso sottovalutato per mettere invece in luce il suo rilevante influsso sui movimenti artistici del tempo. Rousseau fu ”originale, eccentrico, vero outsider della pittura francese”, che resta ”anomalo, anche se è stato il primo a ripristinare l’uso del disegno” dopo la rivoluzione impressionista.
Il Doganiere è stato un “fenomeno” unico e questa sua originalità indicata da molti come origine della pittura primitiva e naif viene espressa nella mostra attraverso 40 opere dell’artista stesso e 60 opere , realizzate sia dagli artisti che a lui guardarono in quei decenni cruciali a cavallo tra ‘800 e ‘900, sia degli antichi maestri da cui arrivò l’ispirazione all’arcaismo, alternativa, ma parallela, al classicismo imperante. Si tratta di un percorso che tende ad evidenziare come Henri Rousseau rappresenti uno spartiacque fra le due epoche.
A Venezia sono riuniti alcuni dei capolavori più celebrati dell’artista francese: come tutti sanno egli è famoso soprattutto per le sue raffigurazioni di mondi esotici, foreste tropicali, praterie, giungle dalla vegetazione rigogliosa e abitate da animali strani. Sono quadri dalla tecnica elementare, ma nel contempo densi di fascino e mistero. Queste opere ci fanno comprendere come la sua formazione sia al di fuori dell’ambito accademico, ci mostrano l’indipendenza della sua pittura da correnti, scuole, ideologie e programmi, la grande spontaneità nella scelta dei soggetti, dei motivi e della tecnica ed il suo atteggiamento ingenuo, ma genuino, verso la realtà e la natura.
A dispetto della sua ingenuità, la pittura di Rousseau ha influenzato tanti protagonisti dell’arte moderna. Trovano ispirazione in lui alcuni giovani artisti del tempo alla ricerca di un’autentica purezza espressiva. Artisti che, oltretutto, figurano tra i principali estimatori dell’arte primitiva: Picasso, Braque, Delaunay, Kandinsky; Marc, Macke.
Più tardi, trovano ispirazione nel suo lavoro anche i surrealisti. Motivo d’interesse è soprattutto il carattere sognante, onirico, delle ultime tele.
Ma la lezione di Henri Rousseau è stata di portata ancora più ampia.
Rousseau, infatti, incarna la figura di colui che si è presentato sull’agguerrita scena artistica parigina senza iter formativo e con scarse capacità professionali. Nonostante questo, rivendica il proprio diritto a sentirsi pittore, artista alla pari di chiunque altro.
In questo modo, Rousseau annuncia alle giovani generazioni l’arrivo di una nuova libertà nell’arte. Una libertà che ammette modi diversi di concepire la rappresentazione della realtà, nonché la possibilità di sperimentare tecniche inusuali. Una libertà che comprende anche il diritto di essere pittore a prescindere da capacità tecniche, cultura e livello di formazione.
I capolavori esposti a Palazzo Ducale partono dall’ dall”Autoritratto’ (1889-’90) che egli stesso considerava il primo ritratto-paesaggio della storia dell’arte per passare a ‘Il cortile’ (1896-’98) , acquistato personalmente da Kandinsky ed esposto nella prima mostra del Blaue Reiter a Monaco. Non mancano ‘La guerra o la cavalcata della Discordia’ (1894), dipinta da Rousseau con quello sguardo innocente che Ardengo Soffici, suo grande estimatore, definiva ricco di “ingenuità da bambino”. Si trovano poi ‘Incantatrice di serpenti’ (1907) il ‘Cavallo assalito da un giaguaro’ (1910), nonché i bucolici paesaggi di campagna e di città. Seguono le nature morte e la serie sorprendente dei ritratti maschili e femminili che colgono la vita della piccola borghesia.
Proprio a sottolineare ancora una volta l’impatto che l’arte di Rousseau ebbe nell’ambiente intellettuale della Parigi di inizio ‘900, nella mostra veneziana si rivive persino l’emozione del famoso banchetto che Pablo Picasso organizzò in onore del Doganiere nel 1908 per celebrare l’acquisto del suo ‘Ritratto di donna’. Il dipinto di Rousseau è infatti allestito di fronte a ‘La bouteille de Bass’ di Picasso, in una stanza animata dalla recitazione di un poema Guillaume Apollinaire e del valzer ‘Clemence’, composto dallo stesso Doganiere, declamati ed eseguiti per quell’occasione.
A parer nostro l’aspetto fantastico che la mostra porta al visitatore risiede nella possibilità di cogliere la vera anima dell’artista e della sua concezione dell’arte. L’arte e le sue manifestazioni sono libertà pura. E’ lo spirito stesso dell’artista svincolato da ogni struttura e ideologia, da ogni legame precostituito e che si fa aria e libertà attraverso un linguaggio originalissimo che ne demarca l’unicità e la firma.
Grazia Manna