Nell’afa della calura estiva, afflitta da zanzare sempre più voraci e diurne, odo sommesso il ciarlare pigro di nuovi flirt e risultati olimpici. La sonnolenza postprandiale sotto l’ombrellone è improvvisamente spezzata da frizzi e grida sguaiate, musica assordante che martella senza sosta, palesando all’orizzonte l’arrivo del nuovo Italiano, il turista last minute, all inclusive, inconsapevole della méta prescelta (purché à la page), armato di tutta la tecnologia necessaria a marcare la presenza, ignaro della bellezza che sfiora, intento a fagocitarla nella comunicazione social. Ed ecco pose improponibili, selfie con asticella che mostrino, con compiaciuto esibizionismo, l’edonismo omologato di cui è schiavo. La cura maniacale del corpo, dalla sessualità confusa, scolpito da mesi di palestra e “ritocchini”, rasato, epilato, tinto, lucido, tatuato con simboli e immagini senza senso, piercing imbarazzanti, alla disperata ricerca egocentrica di unicità, uniformato e tradito nel risultato. Neppure sfiorato dall’evidente conformismo della “vita (così banalmente) spericolata”, cerca conforto nel branco: trogloditi urlatori, pieni di alcool e pasticche, arroganti e triviali che sedano l’assenza di contenuti in un presenzialismo di massa, che sia Ibiza, Maldive o la sagra paesana.
L’evanescenza del loro esistere si propaga pericolosamente nella socialità.
L’inconsistenza loro immanente si manifesta nella condotta, quanto nell’atteggiamento, nel pensiero atonico, nel linguaggio fatto di bestemmie e turpiloquio immotivato, di poche parole reiterate multiuso, nell’indifferenza stolida e nell’apatia dei sensi, ignara della bellezza e della speculazione.
La volgarità è in quello che fanno e come lo fanno, appagati solo di bieca, effimera fantanotorietà di stare, senza essere.
È dunque questo il futuro? Fatto di vittime ignave del continuo flusso di stimoli estemporanei, passati rapidamente oltre, senza coltivare interessi duraturi, lambiccarsi in progetti e studi, misurarsi in rapporti umani profondi.
È dunque questo il mondo che stiamo lasciando in eredità? Non luoghi tutti uguali: aeroporti, centri commerciali, supermercati, fast food e locali di divertimento. Un mondo di cartapesta identico a Napoli, come ad Oslo o Sidney, la globalizzazione a taglia unica!
Siamo ancora in tempo a cambiare, sostenere la cultura, insegnare ai nostri giovani a sperare, sognare, progettare e costruire un futuro migliore, con fatica, ma un mondo a loro dimensione.
Abbiamo un dovere: porre le basi per uno sviluppo sociale etico sostenibile ed ecocompatibile, affidare, confidando, principi ed ideali sani e robusti, offrendo opportunità concrete al cambiamento.
Solo così non verremo travolti dai nuovi barbari….
Sabrina Cicin