Il 21 dicembre i persiani festeggeranno la notte di Yalda. Il solstizio d’inverno, durante il quale si ha la notte più lunga dell’anno, corrisponde al primo giorno del mese Dey, che è il decimo del calendario persiano. L’oscurità che fino a quel momento ha prevalso nel cielo, lascia il posto alla luce e alla speranza che si rinnovano. La parola è di origine assiro babilonese e, non a caso, significa “natività”. Secondo una leggenda persiana, da questo giorno il sole torna a prevalere sulle tenebre, scacciando il diavolo, rappresentato dal buio. Un’altra credenza vuole che sempre il sole, durante la notte di Yalda, vada a rifugiarsi sotto terra, allo scopo di riscaldare la natura, che solo in primavera potrà farà la sua ricomparsa in superficie. Per questa festività di solito gli iraniani amano cibarsi di melograni e angurie, che con i colori vivaci e rossastri della loro polpa, rimandano al concetto di fertilità, gioia e allegria, che così si vogliono celebrare e inaugurare. Tale usanza è inoltre accompagnata dalla lettura dei versi del più grande e noto poeta persiano di tutti i tempi, ovvero Hafez Shirazi, apprezzato da tutti gli iraniani. Infine si è soliti tenere accese delle candele, proprio a simboleggiare la volontà degli uomini di sconfiggere le tenebre per mezzo della luce. Un tema caro quest’ultimo, alla religione zoroastriana, che identificherà con la luce Ahura Mazda, il dio del bene e con il buio, Ahriman, il dio del male. Molto interessante è inoltre la coincidenza tra questa festività, che ricorre il 21 dicembre, rispetto al nostro Natale, simboleggiante la nascita di Gesù, il 25 dicembre, che slitta evidentemente solo di qualche giorno rispetto all’altra. Una coincidenza decisamente non casuale.
Silvia di Pasquale