E’ ben possibile che si possa provare qualche fastidio a continuamente leggere questo termine ‘ciociaro’ quando si parla di arte, cultura, di lavoro, di storia….
Il demerito, in verità, non è di chi rammenta certe realtà della storia bensì di tutti coloro che ignorano e continuano ad ignorare che cosa invece è la Ciociaria. E perciò è ben corretto scrivere e parlare di capolavori ciociari in un museo, cosa che non è possibile o almeno molto raro, per altre individualità etniche altrettanto distintive! Anzi il termine ‘ciociaro’ viene al primo posto quando si affrontano certi aspetti della Storia, ai posti principali quando se ne affrontano altri. Una scorsa al libro ORGOGLIO CIOCIARO/Ciociaria Pride, fornirà risposte e motivazioni. La questione è un’altra, parecchio misera: non conoscendo la Ciociaria, avviene che tutto quanto a essa riferito venga contrabbandato con altre appellazioni e aggettivazioni tipo laziale, romano, abbruzzese, napoletano o semplicemente italiano oppure altrettanto semplicemente ignorato. E come ben si sa da parte di coloro che coltivano certi interessi, nel mondo delle arti la parola ‘ciociaro’ giuoca un ruolo prioritario in alcuni contesti, molto più di Barbizon, di Pont-Aven, di Giverny, di Posillipo…anche se può sembrare improponibile. E per tornare all’inizio, nel grandioso museo di Washington, nel quale ci siamo imbattuti per caso, troviamo la conferma di una prorompente presenza ciociara pur limitandoci solo a quattro artisti, a quattro giganti dell’arte dell’Otto-Novecento ivi presenti.
Sulle sue pareti si ammira quello che viene considerata l’opera più conosciuta di Cézanne, il Ragazzo dal panciotto rosso: si sa che Cézanne, pur essendo schivo e ritirato e raramente lasciasse la natia Aix in Provenza, periodicamente faceva soggiorni più o meno lunghi a Parigi, a Montmartre. I suoi unici amici ed estimatori erano Monet e Degas.Un giorno erano seduti a un caffè di Place Pigalle quando ad un tratto il non più giovane artista ebbe un sobbalzo: un adolescente nel suo smagliante costume ciociaro stava passando mollemente davanti a loro: era uno dei tanti modelli ciociari che affollavano quei luoghi in cerca del pittore o dello scultore che lo assoldasse. Cézanne si alzò lo chiamò parlottarono si separarono. Iniziò una relazione durata qualche anno. L’artista fu particolarmente preso ed ammirato dal rosso del panciotto di Michelangelo, così si chiamava il ragazzo, una tonalità che i tubetti industriali non riuscirono a riprodurre: Cézanne dipinse quattro oli e due acquarelli di Michelangelo: il panciotto è sempre in primo piano ma in nessuno dei quattro oli l’artista riuscì ad avvicinarsi al rosso del costume ciociaro. Abbiamo scoperto che Michelangelo De Rosa era originario di Atina. Lungo le pareti di questo gigantesco Museo il visitatore si imbatte in tre opere di Corot di cui una particolarmente celebre Agostina, poi un ciociarello dipinto in uno dei suoi viaggi a Roma e dintorni e un quadruccio di una ciociarella dipinta a Parigi particolarmente significativo per la identità della ragazza effigiata. Il visitatore, dopo aver gustato i capolavori di Cézanne e di Corot, proseguendo nel suo percorso si imbatte in quattro, di diverse decine, sculture e disegni di Rodin, strettamente collegate coi rispettivi modelli: c’è il celebre Uomo che cammina che in verità riproduce nel bronzo le fattezze di Cesidio Pignatelli da Gallinaro; c’è il busto che illustra la modella di Cassino Marianna Mattiocco; si ammira la Eva per cui posò Maria Marcantuoni da Gallinaro e altre
sculture che ritraggono il corpo delle sorelle Abbruzzesi pure di Gallinaro. Continuando la visita ad un certo punto si resta quasi abbagliati da un caleidoscopio di colori che si irradiano da un solo quadro: è Lorette col turbante giallo di Matisse: e Lorette abbiamo scoperto che si chiamava Loreta Arpino, pure di quell’olimpo dei modelli che è stato Gallinaro. Più avanti sulla parete si incontra anche un disegno, uno di molti, che Matisse realizzò per la sua cara modella Rosa nel 1906, pure di Gallinaro. Ma si badi che tali presenze nella Galleria Nazionale di Washington non ne esauriscono il numero.
Michele Santulli