Il testo di Vitiliano Trevisan in scena per la prima volta in un monologo interpretato da Riccardo Bocci
Il titolo Oscillazioni ben delinea uno stato d’animo che “oscilla” quasi a ciondoloni tra gli estremi di una anima turbolenta che tocca smanie e manie della mente psicotica di un uomo. Un uomo in preda a deliri straboccanti di astio e odio per il genere umano. Le donne, viste solo come scambio di merce, il matrimonio, come una prigione e, il frutto di tale prigionia – un figlio – equivarrebbe ad una galera. Una galera sopratutto mentale, da cui fuggire solo con l’atto estremo della fine. ;”>Sicuramente questo monologo, al pari del precedente “Neurosi”, delinea la crudeltà umana che corre come all’impazzata e senza tregua e stregua verso l’odio per il mondo, le relazioni, le responsabilità, un mondo che di certo è insano e intrappola in dinamiche fuori dal controllo. Ossessioni e profonde e radicate malattie di fronte a rotture che precipitano inevitabilmente, perché quando esistono “tutti i presupposti – ne esce – un’equazione perfettamente impostata, questione di tempo”.
A questo proposito, la voce di Riccardo Bocci, attore a pieno titolo, racconta, dietro le quinte, l’evolversi delle “oscillazioni”.
E’ un testo molto forte quello che porti in scena. Ci sono dei punti in cui ti ci riconosci?
Bè … forse in senso lato probabilmente sì. Sopratutto dal punto di vista della difficoltà di avere delle relazioni reali con gli altri. Questa secondo me è una difficoltà che abbiamo tutti e a tanti livelli. Ma la difficoltà di essere insieme in questo mondo, di essere qualcosa per sé stessi e quindi anche per gli altri, come si fa a non sentirsela addosso? Il testo è una creazione letteraria che prende spunto da alcune realtà terribili. Quindi nelle ragioni più intime ti dico forse sì, un po’ mi ci riconosco.
E quali sono le parti del personaggio con cui empatizzi?
Sicuramente con la difficoltà di mettere al mondo un figlio. Il copione di questo testo pone questo problema.
Ci sono state difficoltà particolari?(regista)
La difficoltà maggiore è stata cercare di portare il pubblico dalla parte del personaggio, essendo un personaggio disturbante sin dall’inizio. Cercare quindi di fare in modo che il pubblico viaggiasse con lui. C’è da dire anche che il copione è molto corto. Portarlo in scena ha voluto dire per noi cercare di allungarlo in qualche modo. E non è cosa facile.
Chi ha scelto di mettere in scena il testo di Trevisan?
Me medesimo. E’ uno dei primissimi copioni teatrali che Trevisan ha scritto. Nasce come scrittore e romanziere e poi ha cominciato a scrivere per il teatro.
Perché proprio la scelta di questo testo e non di altri?
Potrei dare una spiegazione molto snob. In primis lo stile narrativo. E poi perché questo tipo di narrativa, così asciutta e così attenta ti impone una sfida, da attore, molto particolare. E poi, è un ruolo che un po’ mi discosta dai personaggi che ho fatto prima.
La produttrice Cynthia Storari, ideatrice anche del progetto, saluta la rassegna entusiasta delle serate e di tutti gli interpreti. E come darle torto, quando attori di vero teatro si cimentano in progetti inediti, azzardati e azzeccatissimi per il loro talento, per le loro intenzioni, per il loro essere Attori, per la nostra realtà quotidiana.
Perché proprio “Punti di rottura” il titolo di questa rassegna?
Sarebbe il breaking point in inglese. E’ un susseguirsi di stati di animo che ti portano ad un momento in cui c’è qualcosa che si spezza e che, quindi, ti porta a fare un qualcosa che risolve la situazione o che la fa precipitare drasticamente. In tutti e tre gli spettacoli presentati durante la rassegna c’è sempre qualche cosa che viene spezzato. Questo è stato il tema conduttore e non caso i sottotitoli: “vengono da un tempo crudele in un momento crudele per tutti noi”. E’ la crudeltà insita nella vita quotidiana che ci uccide. La crudeltà di stato, la crudeltà mentale delle varie psicopatologie.
I protagonisti di questi 3 “spezzoni di rottura” sono tutti uomini. C’ è una ragione specifica di questa scelta?
Beh… gli uomini sono quelli che più rimangono ossessionati da ciò che li circonda. Sono forse quelli che sono un po’ più fragili. Sarebbe infatti interessante vedere, appunto, al femminile la versione di “Punti di Rottura”.
Sei soddisfatta di come è andata la rassegna?
Assolutamente sì. Penso di riproporla al femminile. Già stanno arrivando proposte tra cui il monologo di Silvia Guidi. Questi testi invece spero di portarli al SALA 1. Non so se riesco a portare “Il Recinto” perché riuscire a rimettere insieme tutti e tre gli attori, che sono molto ambiti, sarà un’impresa.
Federica Gualtieri