“QUANDO LA SORPRESA DELL’ESSERE ESTRANEO SI MESCOLA ALLA GIOIA DELLA FAMILIARITÀ” Steve McCurry: un giro del mondo in 250 scatti

 

 Lo scorso venerdì 1 aprile, presso la Citroniera delle Scuderie Juvarriane nella Reggia di Venaria, è stata inaugurata la mostra fotografica Il mondo di Steve McCurry, che resterà aperta fino al prossimo 25 settembre.

La più che trentennale carriera artistica del reporter americano Steve McCurry (Philadelphia, 1950) cominciò, verso la fine degli anni ’70, in occasione di un viaggio in India. Attraversando il territorio indiano con la sua macchina fotografica, McCurry raggiunse il confine col Pakistan, dove l’incontro con un gruppo di rifugiati afghani fu decisivo. Questi gli permisero infatti di penetrare clandestinamente nel loro paese, proprio mentre l’invasione russa chiudeva i confini ai giornalisti occidentali, offrendogli l’opportunità di essere il primo a immortalare le fasi iniziali del conflitto e a diffonderle nel resto del mondo. Fu così che, prima ancora che per quello artistico, le sue foto divennero note per il loro valore documentaristico. Negli anni a seguire, McCurry ha continuato a viaggiare e a scattare foto in ogni angolo della terra, per cogliere l’essenza tanto degli aspetti transitori quanto di quelli permanenti della vita. Al centro della sua ricerca resta sempre l’elemento umano: è soprattutto ai volti che l’artista-reporter affida il compito di narrare la storia dei vari luoghi, che è, allo stesso tempo, storia di un singolo uomo e della sua gente, di una cultura e del mondo intero. A tal proposito, spiega egli stesso: « La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio, che potremmo chiamare la condizione umana». La finezza nella scelta dei soggetti (soprattutto scene come quelle del conflitto tra Iran-Iraq, a Beirut, in Cambogia, nelle Filippine, in Afghanistan e in Kuwait, ma anche scene di vita quotidiana) e nell’uso del colore, gli ha valso numerosissimi riconoscimenti, fra cui il “Robert Capa Gold Metal” per la copertina della guerra in Afghanistan (1980), il premio della “National Press Photographers” (1984), la nomina a Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere da parte del Ministro della cultura francese e ben quattro “vittorie” nel “World Press Competition” (1984, 1992, 1993, 2005).

L’ attuale rassegna torinese, organizzata dal Consorzio La Venaria Reale, Civita Mostre e sostenuta da SudEst57 e Lavazza, è a cura di Biba Giacchetti e comprende più di 250 scatti. Fra questi ve ne sono molti assai famosi, come il ritratto di Sharbat Gula o Ragazza afghana, la fotografia più celebre nella storia della rivista “National Geographic”, per la quale fu l’immagine di copertina nel giugno 1985. Alcune fotografie, scattate in Afghanistan fra il ’79 e l’80, sono in bianco e nero e ancora inedite, mentre molte altre sono a colori e assai più recenti. Il percorso espositivo, allestito da Peter Bottazzi, in collaborazione con Civita, accompagna il visitatore dall’India all’Afghanistan e all’Africa, da Cuba agli Stati Uniti, dal Sudamerica all’Italia, dove per una decina di anni McCurry ha collaborato con Lavazza al progetto Tierra!. È in questo contesto che si inseriscono i 40 scatti aventi per oggetto i raccoglitori delle piantagioni di caffè, ritratti al lavoro o nei loro villaggi, esposti per la prima volta nella mostra From these hands e pubblicati in un volume omonimo edito da Phaidon. Gli stessi sono stati riprodotti, lo scorso anno, anche in un calendario sugli Earth Defenders.Steve McCurry, Ragazza Afghana

L’evento costituisce l’occasione più rapida ed economica per visitare luoghi ‘altri’, più o meno conosciuti, entrando in contatto con diverse realtà culturali. Si tratta del frutto maturo di un artista che, a partire dalla lezione sul senso della luce e della composizione di Henry Cartier Bresson ed Elliot Herwitt, è riuscito a «costruire una propria, personale visione del mondo».

 

Giada Sbriccoli

 

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