La Rivoluzione d’Ottobre della moda italiana è iniziata a gennaio dell’anno scorso. Alla conquista del Palazzo d’inverno del glamour nostrano si è lanciato Alessandro Michele. Romano, 43 anni, muove i primi passi nel settore da Fendi per poi approdare da Gucci. Rimane lì per ben 12 anni, prima di assumerne il timone, subentrando a Frida Giannini. La sua direzione creativa ha impresso un tale cambiamento di paradigma nel marchio della maison fiorentina che la popolarità, l’impennata nelle vendite e i primi premi sono arrivati nel giro di pochissimo tempo. Per il British Fashion Council è lui lo stilista del 2015 e, per l’anno in corso, ha già provveduto il Council of Fashion Designer of America a tributargli un ulteriore riconoscimento. Alla base delle sue creazioni c’è un mix esplosivo di riferimenti culturali, artistici, letterari e filosofici. D’altra parte, il suo lavoro è costantemente influenzato dal confronto col compagno, l’urbanista Vanni Attili. La città che ha in mente Michele è uno spazio dove le nuove generazioni fluiscono incuranti dei vecchi schemi, primo fra tutti quello della divisione tra maschile e femminile. Alessandro Michele porta in passerella creazioni che sono dei veri e propri “campi di riattivazione poetica”. La sua moda è onirica, bohemien, libertaria. La collezione primavera-estate 2016 è un tripudio di colori e di contrasti, di verde e di rosa, all’insegna di una new wave stilistica definita come “neoromanticismo urbano”. Piante, fiori, animali popolano un universo poetico peculiare poiché volto a restituire una gamma di emozioni positive agli abiti. Gli anni Settanta, gli anni Ottanta e gli anni Novanta vengono rivisitati in un’ottica originale e coerente, senza cedere alle banalità. I riferimenti all’estetica orientale sono presenti sotto forma di allusioni, di suggestioni provenienti da un mondo lontano eppure così familiare. La ricerca del bello non è mai fine a se stessa e soprattutto non diventa perfezionismo sterile né manieristico. Da approfondito conoscitore della mentalità orientale, include l’errore nelle sue creazioni, lasciando che l’errore stesso accada, naturalmente. E in questo modo si ricreano nuovi legami con l’Oriente, ed in particolare col concetto giapponese di wabi sabi: la bellezza acquisita dagli oggetti immersi nello scorrere del tempo, come certe statue del Buddha ricoperte di muschio lasciate così allo scopo di ricordarci come l’impermanenza rappresenti l’unico aspetto certo delle nostre vite.
Pasquale Musella