Ultras e Italia. Ostaggi della violenza

aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaÈ meglio sgombrare subito il campo da malintesi: sono un tifoso di calcio. All’interno di un discorso qualsiasi non ci sarebbe bisogno di specificare per quale squadra tengo, ma i fatti avvenuti il 3 maggio scorso, in occasione della finale di Coppa Italia, impongono una presa di posizione decisa. E dunque confesso di essere un tifoso romanista. Si potrebbe dire che nella cosa non ci sia niente di male, che anzi la squadra della capitale ha un passato glorioso e rappresenta una realtà sportiva importante per le tante migliaia di appassionati. Purtroppo oggi, dopo quel terribile sabato sera, essere romanista è considerata un’onta, perché a rappresentare i tifosi è il gesto compiuto da Daniele De Santis, che ha sparato nel petto di un giovane napoletano, spedendolo in un letto d’ospedale, sospeso tra la vita e la morte. Un gesto senza ritorno, un gesto imperdonabile, di una violenza bestiale, che offende la nostra presunta umanità. Non voglio nemmeno provare ad entrare in merito ai fatti occorsi in quella convulsa colluttazione, anche perché è in corso un’indagine che ha lo scopo di far luce sull’accaduto, la quale si sta rivelando in realtà più complessa del previsto. Inoltre è assolutamente irrilevante, per me, come si siano svolti i fatti, chi abbia offeso o aggredito chi, quello che è veramente importante è ciò che questa vicenda ci ha drammaticamente dimostrato e quali saranno le sue conseguenze. La prima di esse, come accennato prima, è questa sorta di marchio d’infamia posto sulla tifoseria giallorossa; è sacrosanto che ogni vero tifoso della Roma si ribelli alla gogna mediatica e non consenta a nessuno di accomunarlo a De Santis solo per aver diviso con lui, in qualche occasione, la frequentazione dello stadio Olimpico. Quando un soldato o un agente di polizia compie violenze indiscriminate, approfittando della posizione che ricopre, l’opinione pubblica è prontissima a considerarlo una mela marcia, che non rappresenta certo tutta la categoria. E allora il desiderio di tutti gli appassionati di calcio è questo, considerare Daniele De Santis per quello che è: un delinquente senza bandiera, senza colori, per il quale conta solo la possibilità di sfogare il proprio odio. Ma la sciagurata serata ha portato con sé, oltre a questa ingiustizia mediatica e al ferimento gravissimo di Ciro Esposito, uno strascico vergognoso e rivoltante. Intollerabile, infatti, quello che è accaduto dopo gli scontri, all’interno dello Stadio Olimpico. Il protagonista incontrastato della scena è stato Genny “’a carogna”, per il quale vale il motto antico che vuole ogni uomo legato indissolubilmente al proprio nome. Il vero nome di questo “gentiluomo” è Gennaro De Tommaso, figlio di un camorrista e capo della tifoseria ultrà napoletana. La pantomima di questo inqualificabile individuo è andata in scena davanti a milioni di Italiani e non solo, con la partecipazione delle forze dell’ordine che, totalmente incapaci di gestire la situazione, hanno platealmente chiesto a Genny il permesso di iniziare la partita, la quale ha avuto inizio con 45 minuti di ritardo. Nonostante tutte le affannose smentite del giorno dopo, le immagini sono state più che eloquenti, con il capitano del Napoli, Hamsik, scortato dai poliziotti sotto la curva a discutere con la carogna, mentre dagli spalti piovevano petardi che hanno colpito anche un vigile del fuoco. Alla mente sono tornati i fatti del 2004 quando, durante un derby Roma – Lazio, l’intervento dei delinquenti sulle tribune fece sospendere la partita per un incidente, causato da un macchina della polizia che aveva investito un bambino. Naturalmente un avvenimento mai accaduto. Ancora una volta si è persa un’occasione importante per far capire a questa gente che non si può ergere al di sopra dello Stato e della società civile. Anzi si è andato a parlamentare con un individuo, un animale, che per due ore ha tenuto in scacco 80.000 persone con indosso un’infame maglietta che inneggiava al delinquente colpevole di aver ucciso l’ispettore di polizia Raciti, sotto gli occhi delle più alte cariche della Repubblica, che hanno assistito senza battere ciglio allo scempio, sopportando addirittura l’onta di sentire migliaia di persone fischiare l’inno nazionale. Ora, in perfetto stile italiano, si parla di DASPO a vita per la carogna, di giri di vite e di tolleranza zero, ma tra poco tutto si sgonfierà e mille avvoltoi, delinquenti, imprenditori senza scrupoli e giornalisti senza etica, torneranno a volteggiare sulla carcassa di questo calcio moribondo. Questo è il pensiero di un tifoso, non aggiungo l’aggettivo “vero” perché per distinguere basta chiamare gli altri con il loro nome: teppisti.

Patrizio Pitzalis

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