Sparuti rappresentanti (sempre gli stessi) degli esuli e delle autorità si incontrano e si confrontano, tagliano nastri, depositano corone, discorsi, strette di mano…
Mi rendo conto che queste celebrazioni, sempre più deserte, riguardano noi, testimoni diretti o indiretti degli eccidi e dell’esodo, restano tra noi e, talvolta, neppure partecipate da noi. Se penso ai decenni di umiliazioni e di discriminazioni che mio padre ed i suoi conterranei hanno dovuto subire, rabbrividisco. Ricordo la rabbia nel sentire gli italiani nominare le nostre città in lingua slava, la fede al doloroso giuramento di non mettere mai più piede nella terra natia finché non restituita all’Italia, l’orgoglio nelle origini del proprio cognome, all’epoca così esotico, ed i documenti “sbianchettati”, a costo di sanzioni, sulla nazione di nascita, con quella parola ITALIA corretta a penna…E lo spirito mai domo. Ebbene noi. Adesso noi, chi siamo?
Come far comprendere a chi ci circonda il peso sul cuore che ci accomuna? Come trasmettere ai figli l’orgoglio del nostro DNA tricolore: rosso, come la terra d’Istria, bianco, come la roccia carsica delle Alpi dalmate che si bagnano nel verde smeraldo del nostro mare di scoglio? Come rappresentare agli altri la nostra storia, la nostra identità, condividere senza disperderla? Non è questione da poco. Se ci contiamo siamo tanti, sparsi su questo pianeta come il sale in cucina che arricchisce di sapore ove si posa, così noi abbiamo offerto ovunque esempio di onestà e rigore, laboriosità solerte, dignità anche nell’indigenza…sento di esuli da ogni dove, sempre contraddistinti dalla rettitudine e dall’operosità…eppure non siamo coesi, non abbiamo saputo avere un peso specifico nelle questioni importanti, non eravamo lì dove si prendevano le decisioni a noi attinenti, forse vittime di un insolito individualismo che ci fa eccellere in numerosi campi ma rende silenti, quasi riottosi, nell’affermare pubblicamente le nostre origini. Il proliferare di associazioni, enti, organizzazioni ne è testimone. Tanti presidenti, segretari, rappresentanti; tante voci melodiose che non riescono a formare un coro. Encomiabile l’impegno di ognuno ma se non armonizzato rischia di non portare a nulla, a perdersi, anzi, nell’indifferenza generale. E ciò che resta appunto della restante parte. L’indifferenza.
L’orgoglio dell’appartenenza lo riserviamo tra le mura domestiche, come ci hanno insegnato sin da piccini, quasi a celare una scomoda verità. Le urla del silenzio. Tutti le sentiamo nel nostro animo ma nessuno ha coraggio di darne voce. Non ho mai sentito attori, stilisti, sportivi, pittori, scrittori, politici nel corso di interviste affermare con orgoglio: IO SONO DALMATA! IO SONO ISTRIANO! od, almeno, non con l’enfasi che ciò avrebbe meritato.
Un frettoloso bisogno di dimenticare… lasciare non udito il richiamo delle nostre Terre, dei nostri avi, come urla del silenzio…..
Sabrina Cicin