Le Scuderie del Quirinale di Roma ed il Palazzo Ducale di Genova presentano due mostre su Frida Kahlo, artista-simbolo dell’avanguardia artistica e dell’esuberanza di un Messico rigoglioso e forte della sua identità culturale, a seguito delle conquiste della rivoluzione del 1910.
Ad aver inaugurato il progetto congiunto la Capitale, il 20 marzo 2014, con un focus sul rapporto della pittrice messicana ed i principali movimenti artistici dell’epoca; poi sarà il turno di Genova, a partire dal 20 settembre 2014, con una mostra che invece privilegerà l’universo privato di Frida, fatto di amore e sofferenze.
Questa di Roma è la prima retrospettiva in Italia dell’artista messicana, la donna pittrice che più condensa in sé il legame indissolubile, fisiologico quasi, di vita ed arte. È nei suoi quadri ed in particolare nei suoi autoritratti, attraverso una pittura simbolica e viscerale intrisa di sensualità ed erotismo, la quale attinge ossessivamente dal vissuto personale, che Frida ha raccontato il suo mondo privato, fatto di passioni intense e sofferenze struggenti, ma anche quello che la circondava, denso di radicali cambiamenti sociali e forti ideali.
Quella di Frida è stata una vita breve -l’artista morì infatti nel 1954, ad appena 47 anni- e composita, in quanto costellata di malattie e dilanianti sofferenze ma anche di forti ardori ed amore: ad appena 6 anni si ammalò di poliomielite e a 18 anni fu vittima di un violente incidente nel quale un corrimano di metallo le trapassò il corpo. La giovane riportò gravi lesioni alla spina dorsale e fratture ovunque che la costrinsero, per il resto della vita, a portare un busto ortopedico; inoltre, non riuscì a terminare le sue gravidanze e subì numerosissimi interventi chirurgici. Ciononostante, la sua esistenza fu caratterizzata da una consapevole e decisa reazione alla sofferenza.Da giovanissima, costretta a letto per mesi, si dedicò alla pittura, che fu per lei una vera e propria catarsi, uno sfogo terapeutico contro il dolore e la rabbia: iniziò proprio durante il primo ricovero ospedaliero e continuò a farlo quando venne dimessa, immobilizzata a letto. Dipingeva il proprio volto, che studiava con attenzione grazie ad uno specchio fissato in alto nella sua stanza; non a caso, l’oggetto della sua pittura coincise sempre con le sue stesse sensazioni, con le impressioni che la vita le trasmise. Fu per questo che Frida oggettivò il tutto in autoritratti, gli unici sinceri e veritieri, detentori di quanto la quotidianità le suggeriva: la pittura era per lei infatti narrazione di sé e del mondo che la circondava, ragion per cui era necessario attingere in primis al suo microcosmo per passare poi al macro e raccontarne unitariamente ogni sfumatura, dai traumi alle gioie.Quello che la legò al pittore Diego Rivera fu un amore ossessivo e turbolento fatto di trasporto e tradimenti, separazioni e riavvicinamenti; ad unirli furono soprattutto la passione comune per la politica e l’entusiasmo condiviso della rivoluzione del 1910 che aveva fatto riscoprire al Messico le proprie orgogliose radici culturali.Questa mostra romana, che raccoglie oltre 160 opere fra dipinti e disegni, rappresenta Frida a trecentosessanta gradi, in tutta la sua poliedricità e polivalenza: molto più che una “semplice” donna artista, la Kahlo è stata una figura che ha incarnato il Messico ed il suo fervore artistico e culturale superando i confini nazionali, ponendosi come ideale di donna militante comunista, anticonvenzionale, anticipatrice del movimento femminista e rivendicatrice della libertà sessuale – ricordiamo infatti che fu una bisessuale dichiarata-. Quello che si è formato attorno alla figura di questa artista è un vero e proprio mito che ha assunto, come da tradizione, una dimensione globale, perpetuandosi e consolidandosi nel patrimonio culturale degli ultimi cinquant’anni; non a caso, è stata Frida stessa a prestare per prima attenzione alla costruzione della propria immagine all’interno della propria opera attraverso l’autorappresentazione, con una mentalità davvero moderna, perfettamente ante litteram.Nella mostra romana, dunque, più di 40 ritratti e autoritratti, fra i quali i celebri “Autoritratto con vestito di velluto” del ’26, il primissimo dell’artista, e “Autoritratto con collana di spine” del ’40; ancora, una selezione di disegni della pittrice ed una serie di ritratti fotografici, in particolare quelli realizzati da Nickolas Muray, il quale fu suo amante per dieci anni.In questa sede è possibile scoprire ed approfondire le tappe del percorso della produzione artistica di Frida, a partire dagli esordi debitori della Nuova Oggettività e del Realismo magico così come del realismo americano degli anni venti e trenta, fino alla riproposta del folklore, alle componenti ideologiche-politiche ispirate dal muralismo messicano e a quella forma peculiare di surrealismo che Breton riconobbe nei suoi quadri.Oltre all’intreccio con i diversi movimenti artistici, ciò che si percepisce grazie ai quadri esposti è il congiunto di ardore, esuberanza e passione, componenti essenziali della personalità e del talento di Frida, la donna che si vantava di essere nata nel 1910 -mentre in realtà era nata nel 1907- perché voleva considerarsi figlia della rivoluzione messicana.È nata nel fuoco e col fuoco, Frida; un fuoco che l’ha infiammata per il resto della vita, alimentando in lei forti passioni, dandole la forza di andare avanti e superare le avversità con determinazione, facendole amare la vita, nonostante tutto.Ed in piena fase di disfacimento psicofisico, con una gamba amputata, il suo ultimo dipinto, eseguito undici giorni prima di morire: una natura morta che rappresenta angurie succose, dai colori accesi e vivaci; un inno gioioso alla vita, come recita la scritta nonché titolo stesso dell’opera, “viva la vida”. Nell’ultima pagina del suo diario, Frida saluta per sempre, con poche parole, il mondo e la sua vita, che con entusiasmo ed avidità aveva condotto, assaporandone tutto ed immortalandone gioie e sventure; sperando che l’uscita fosse gioiosa e di non tornare mai indietro.
Michela Graziosi