L’abuso verbale non lascia segni tangibili e concreti ma può far male quanto quello fisico: le parole si insinuano nella mente, si perpetuano nei ricordi, dando vita ad incubi perenni, marchiando a fuoco, inevitabilmente, l’esistenza di chi troppo spesso, oggi, trova dei mostri all’interno della propria famiglia o a pochi passi da casa.
Il progetto fotografico “Weapon of Choice” (www.hurtwords.com) vuole fornire anzitutto una concreta dimostrazione del potere dell’abuso verbale che precede quello fisico; inoltre, obiettivo del fotografo ideatore, Richard Johnson, è anche quello di catalizzare l’attenzione su temi ben noti quali la violenza domestica, l’abuso su minori ed il bullismo.Emblematica la scelta del titolo della serie di foto che va mano mano espandendosi: l’abuso fisico e quello verbale vanno di pari passo, hanno la stessa valenza, ma la prassi di dare una priorità al primo anziché al secondo è, per l’appunto, una scelta (“a choice”).Se le parole provocassero segni fisici considereremmo l’abuso verbale più seriamente? Probabilmente sì ed è per questo che simbolicamente, grazie all’aiuto di vari makeup artists, nelle foto è stata creata l’illusione dell’esistenza di concrete ferite: ogni modello, infatti, sul proprio corpo, porta dei segni tangibili di quella violenza invisibile, esemplificata attraverso parole associate all’aggressione. Grazie a questo espediente le immagini si caricano di un’intensità emotiva enorme e si fanno portavoce dell’idea di fondo del progetto: mostrare che entrambe le tipologie di violenze provocano lo stesso dolore.
Al reclutamento dei creativi, che hanno dato una mano nella realizzazione del progetto, e dei modelli, sono giunti in aiuto l’esperienza di Johnson, reduce da numerosi progetti freelance, ed il noto social network Facebook, attraverso il quale il fotografo ha diffuso la proposta che ha in breve ricevuto numerose ed entusiastiche adesioni. Molte persone hanno preso parte al progetto, raccontando, con difficoltà e riserve, le proprie incredibili storie di abusi, le cui cicatrici, pur essendo invisibili, sono comunque riuscite ad affiorare nel momento degli scatti.Come ha spiegato lo stesso Johnson, quando si lavora in un set vi è la tendenza a voler controllare ogni dettaglio ma in questa occasione specifica si è verificato qualcosa di differente: le foto, infatti, non erano relative all’ideatore ma dovevano dar voce alle storie di altri. È stato così che l’occhio del fotografo attento si è messo da parte, lasciando correre delle imperfezioni di particolari negli scatti affinché la non precisione della post-produzione venisse compensata da una maggiore autenticità della materia narrata: non saranno perfette foto da studio ma di fatto sono la più onesta rappresentazione del problema che poteva essere fatta. Ed era questo lo scopo del progetto.
I temi di fondo delle foto non sono certo una novità nella società odierna, ma con questo lavoro Johnson ha voluto fare in modo che la gente comune acquisisse una rapidità nel rifiutare l’abuso di ogni tipo. Le foto potranno essere utilizzate da organizzazioni non-profit che si interessano di vittime di violenza domestica, bullismo o abusi sui minori: la speranza è quella che si possa trasmettere un’ulteriore consapevolezza del problema che va sempre tenuto presente e mai dimenticato.
Michela Graziosi