I ricami preziosi e le stampe originali, tutti realizzati a mano, che letteralmente saltano fuori da giacche rétro e abiti fluttuanti in chiffon, parlano di una ragazza ultra sofisticata e molto barocca, proprio come la Sicilia di Salvatore Piccione, proclamato oggi vincitore della decima edizione di Who Is On Next? nella sezione abbigliamento con il brand che porta il suo nome (doppio). “Questo è davvero il primo giorno del resto della mia vita” afferma emozionato lo stilista nel backstage dopo la vittoria “da oggi inizia un percorso che spero mi porterà lontano. Sono felicissimo che il mio lavoro sia stato apprezzato soprattutto perché in ciascuno di questi capi c’è tutto di me: creo i modelli, disegno le stampe, realizzo i ricami. Ho lavorato duro per questo risultato, ma alla fine talento e fatica vengono sempre ripagati”. Anche quelli degli altri finalisti di un concorso accreditato come i più importanti a livello mondiale per il fashion scouting, “un punto di partenza per sviluppare la propria azienda o dare il via a una carriera solida”, come ricorda la direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani. Che incoraggia per questo motivo Daizy Shely, israeliana adottata da Milano, definita “non completamente matura” ma con uno stile, anche lei, decisamente d’impatto, fatto di abiti che riecheggiano gli anni Ottanta nell’esplosione di tinte forti, piume, frange e paillettes.
Decisamente più minimal le altri collezioni in passerella, dalle gonne a ruota e gli scamiciati dall’allure caprese di Marianna Cimini– garbati e classici ma con quello stile che rischia di scadere nel lezioso alla seconda collezione, se non si trova l’impronta personale che allontani dal cliché della Dolce Vita-, al mood molto contemporaneo di Project 149, brand formato dal duo Monica Mignone ed Elisa Vigilante, che continuano a giocare sui volumi e sui tessuti preziosi per rendere chic anche i capi più basic del guardaroba femminile, e si confermano capaci di costruire collezioni belle ed eleganti da vedere e facili da scegliere e indossare. Lascia un po’perplessi, invece, la collezione di un marchio giovanissimo- esiste da appena un anno- come Tak.Ori, di Svetlana Taccori, specializzato in maglieria e accessori, che manda in passerella semplicissimi- benché eleganti- gonne, top e abiti in una palette pastello con appena qualche ricamo e decorazione originale a ravvivare linee e lavorazioni fin troppo classiche.
Ben più sperimentali le quattro finaliste del settore accessori, due creatrici di splendidi gioielli dalle linee geometriche e le tinte accese- Caterina Zangrando e Giuliana Mancinelli Bonafaccia-, una stilista di calzature originali e lussuose come Amina Muaddi di Oscar Tiye e una designer di borse dalle linee severe e i pellami preziosi come la serba Milica Stankovic, che dopo un’esperienza lavorativa da Jean Paul Gaultier decide di creare un proprio brand. E diventa la vincitrice nella propria categoria della decima edizione di Wion.
Decima edizione, e anniversario importante, che Altaroma e Vogue Italia festeggiano con una bella mostra inaugurata la sera del concorso a Palazzo Braschi e visibile fino al prossimo 11 settembre, in cui sono esposte le creazioni di 45 designer finalisti delle edizioni passate. Una selezione del passato che guarda al futuro e illustra un percorso, abbinando pezzi della collezione finalista a quelli attuali di nomi divenuti, nel corso del tempo, realtà commerciali e marchi con identità forti, affermati a livello internazionale: gli inconfondibili wax della ormai lanciatissima Stella Jean, le tuniche drappeggiate di Angelos Bratis, le fantasie pop di Au Jour Le Jour, le stampe geometriche di Arthur Arbesser, i ricami sofisticati di Greta Boldini, i tagli puliti e chic di Marco de Vincenzo su cui ha investito persino un colosso del lusso come Lvmh. E le borse di Paula Cademartori e Giacomo Zanchetti, e le calzature di Charline De Luca e i gioielli di Leda Otto, con un’attenzione particolare che va a quei nomi che dieci anni fa, o giù di lì, iniziavano come giovani e oggi sono realtà affermate: il duo Aquilano. Rimondi, Gabriele Colangelo, Albino e Nicholas Kirkwood. Una piccola esposizione che permette- soprattutto a chi non è di settore- di avvicinarsi a un mondo spesso percepito come elitario e distante, e di conoscere le creazioni di quei nomi spesso noti- ancora- solo agli addetti ai lavori. E speriamo che il costo biglietto di ingresso– necessario per il museo di Palazzo Braschi e tutte le mostre, ma forse eccessivo nel caso di una mostra rivolta soprattutto ai giovani e, con ogni evidenza, dai modesti costi di allestimento- non scoraggi i visitatori.
Claudia Proietti