Huysmans: la creazione imperfetta

Nel 1884 un romanzo destinato a segnare la storia della letteratura occidentale è dato finalmente alle stampe. In un contesto artistico e letterario ormai estenuato dalle fosche tinte che popolavano i romanzi naturalisti, Joris-Karl Huysmans decide di invertire la tendenza attraverso il proprio romanzo: Controcorrente (letteralmente, “a ritroso”).

La storia è già di per sé potente negazione dell’estetica naturalista e realista: al contrario di quanto rispettivamente Zola e Balzac avrebbero fatto, Huysmans sfida sé stesso a raccontare una vicenda che sin dall’inizio nega il concetto di trama. Definito sin alla sua pubblicazione come un romanzo sul nulla, dall’intreccio troppo debole per intessere una trama che restasse nella memoria dei lettori, quest’opera ha conosciuto solo a inizio Novecento i riconoscimenti che meritava. Lo si direbbe un vero e proprio caso editoriale, se questa definizione non si rivelasse limitante rispetto al suo significato intrinseco: Controcorrente non può essere considerato semplicemente un romanzo; quest’opera costituisce infatti, a tutti gli effetti, una vita. In particolare, quella del suo autore che, sfinito fisicamente e psicologicamente dagli eccessi che l’Ottocento aveva disseminato soprattutto in Francia, si ritirò in una casa silenziosa situata nella periferia di Parigi, a Fontenay, proprio come farà il protagonista del romanzo Jean Floressas des Esseintes. Inoltre, proprio come des Esseintes, Huysmans attraversò un periodo difficoltoso, in bilico com’era tra euforia e ripiegamento. Al termine di quest’ultimo giunse poi la rivelazione: la risposta doveva essere nell’adesione più intima e totale al cattolicesimo.

Nel momento della sua pubblicazione, Controcorrente fu oggetto di forte scetticismo da parte di autori e critici: Zola lo considerò un romanzo senza speranza riflettendo il sentimento comune nel suo ambiente ad esempio – eppure qualcuno, un personaggio altrettanto singolare ed eclettico, ne intuì immediatamente la portata rivoluzionaria. Si tratta di Jules Barbey d’Aurevilly, un critico letterario contraddistinto dal suo status mediano tra interiorità ed esteriorità: dandy e cattolico allo stesso tempo con tutto il carico di contraddizioni reali e supposte che un tale profilo doveva lasciar supporre, fu lui, nella recensione che fece di Controcorrente datata 28 luglio 1884, a porre ad Huysmans la domanda che probabilmente, dopo poco tempo, l’autore stesso si sarebbe posto ossia: qual era la strada da intraprendere? Secondo Barbey d’Aurevilly, le possibilità erano due e due soltanto; si trattava di scegliere tra la canna di un fucile e i piedi della croce – la stessa domanda che, nella recensione ai Fleurs du mal di Baudelaire, rivolse virtualmente al poeta. Con Huysmans, tuttavia, l’intuizione fu perfetta: l’autore rispose all’unico critico dimostratosi in grado di comprenderlo facendosi oblato. Il nome che scelse per vestire questa nuova realtà? Eloquentemente, fratello Jean.

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