Da nord a sud d’Italia, immergersi in un mondo virtuale alla ricerca di usi e tradizioni è davvero affascinante. Ed ecco che sfogliando le pagine online spunta questa data 17 gennaio giorno celebrativo di Sant’Antonio Abate.
Dalla Lombardia alla Sicilia la festa di Sant’Antonio, tra falò e benedizione degli animali rappresenta una vera e propria usanza che contraddistingue il nostro Paese.
Basta passare in rassegna le decine di eventi organizzati in suo onore il 17 gennaio, data della sua morte.
Ricordando le gesta di Antonio d’Abate, ripercorrere le sue origini ci fa fare un salto nel passato. Eremita egiziano (251 – 357 d.C.), vissuto nel IV secolo dopo Cristo, periodo cui si deve l’inizio del cosiddetto “monachesimo cristiano”, Antonio sceglie di passare la vita in solitudine per ricercare una comunione più intensa con Dio.
Fin da epoca medievale, Sant’Antonio viene invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici. Si racconta che questo, forse perché dal maiale gli antoniani (i seguaci di Antonio) ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe. Antonio, dice la tradizione, era anche un taumaturgo capace di guarire le malattie più tremende.
Da non dimenticare la credenza popolare che vuole che il Santo aiuti a trovare le cose perdute. Al nord si dice “Sant’Antoni dala barba bianca fam trua quel ca ma manca” e al sud – dove viene spesso chiamato Sant’Antuono, per distinguerlo da Antonio da Padova – “Sant’Antonio di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto”.
Ma facciamo un giro tra i borghi più suggestivi d’italia per raccontare come festeggiano questo giorno tanto atteso.
La Lombardia è una delle regioni in cui più si festeggia Sant’Antonio. Soltanto nel Sudovest milanese, il 17 gennaio vengono tradizionalmente accesi falò in 12 Comuni: Albairate, Bernate Ticino, Besate, Boffalora sopra Ticino, Cassinetta di Lugagnano, Corbetta, Cuggiono, Cusago, Morimondo, Ozzero, Robecco sul Naviglio e Turbigo.
Scendiamo più verso il centro e arriviamo sul Subasio, una terra da sempre dedita alle attività pastorali dove è particolarmente sentita, qui come in tutta l’Umbria, la devozione per Sant’Antonio Abate, terra dove l’intera civiltà contadina cristiana considera protettore degli animali domestici. Rivolgersi a Sant’Antonio aiutava a evitare le malattie delle bestie e in tutti i borghi agricoli dell’assisiate si svolgeva una gran festa il giorno delle sua ricorrenza il 17 di Gennaio.
In pianura, a Santa Maria degli Angeli, frazione di Assisi famosa per la Porziuncola, la tradizione è più sentita. La cittadina in passato era una nota stazione per il cambio dei cavalli dei postiglioni postali in transito tra Firenze e Roma. Intorno al 1860 scoppiò una grave epidemia, che colpì proprio quei cavalli. L’intera economia della zona era messa in ginocchio e i cittadini si rivolsero con fiducia a Sant’Antonio Abate di cui era prossima la ricorrenza. Le preghiere ottennero i frutti sperati, il morbo fu scongiurato e i cavalli si salvarono da morte certa.
Da quell’anno, come ringraziamento al Santo, la sua statua fu portata in processione per le vie del paese e fu distribuito, in onore del povero eremita, del cibo agli indigenti che prese il nome di “Piatto di Sant’Antonio“.
E proseguiamo fino ad arrivare sui monti abruzzesi. E siamo a San Valentino dove la gente ancora sente forte le tradizioni tramandate dagli anziani. La festa di Sant’Antonio: una rievocazione storica della tentazione che il diavolo fa al santo, una recita cantata da un gruppo di personaggi locali, che per tutto il mese di gennaio girano per le case e propongono questa rappresentazione alle famiglie. La festa si conclude poi con il così detto “sbandimento”, un’asta dalle radici antiche che vede la partecipazione di tutta la popolazione e di un banditore che offre all’asta i doni portate dalle varie famiglie. Una tradizione che termina con il classico ballo della pupa in piazza.
Affascinante è rievocare momenti significativi. La mattina della festa vengono distribuiti ai fedeli fave ammollate in acqua e pane, precedentemente benedetti dal prete. Le fave venivano in parte mangiate, in parte date come protezione agli animali e anche buttate nei campi seminati. Nelle credenze antiche, le fave erano collegate ai morti. Si credeva infatti che la fertilità della terra fosse assicurata dalla benevolenza degli antenati che da sotto la terra favorivano la crescita dei raccolti. Le fave simboleggiavano le ossa dei morti che ritornavano in vita e ne era ritenuta un collegamento diretto.
Da qui l’importanza di rafforzare i legami con le forze che, secondo le loro credenze, potevano assicurare una buona annata.
La festa, in questi scorci mozzafiato, prosegue nel pomeriggio: momento tanto atteso per il così detto Sbannimènde che possiamo definire una specie di “asta sacra”. La gente offre doni e cibo e questi vengono venduti all’incanto in onore del santo e per finanziare la festa.
I doni vengono offerti dai cittadini ma anche offerti attraverso le così dette Frasche, realizzate anticamente da ogni Contrada del paese. Si tratta di composizioni o dei rami di alloro su cui vengono collocati dolci, salumi, ma anche animali come galline, agnelli o maialini, il tutto sarà poi messo all’asta.
Anticamente queste Frasche venivano portate in processione dalle Contrade al paese con accompagnamento di musiche e canti. Questi rituali vengono indicati dagli studiosi con il nome di Potlac: termine usato da alcune tribù indiane per le feste di questo genere.
Tra i tantissimi riti compiuti in onore di Sant’Antonio, quello dell’accensione dei fuochi occupa un posto di rilievo. A iniziare da Novoli, in Salento, dove l’affluenza è impressionante: si parla di 200mila persone (150 mila nei giorni clou dell’accensione e dei concerti).
Dal 16 al 18 gennaio, infatti, si accende la focara, un falò enorme, il più grande del bacino del Mediterraneo, costituito da una gigantesca pira alta 25 metri e larga 20 metri, realizzata da 70 mila fasci di vite, cui viene dato fuoco secondo precisi rituali e tradizioni. Uno spettacolo da vedere almeno una volta nella vita.
Suggestivi sono i festeggiamenti a Macerata Campania (Ce). Giovani, adulti, anziani e perfino bambini, uniscono le proprie forze per la creazione degli enormi carri di Sant’Antuono, che nei giorni di festa sfilano per le strade del paese. Sui carri prende
posto la battuglia di pastellessa, ovvero una particolare orchestra composta da circa 50 esecutori – percussionisti, detti bottari, diretta dal capobattuglia nella veste di maestro. Gli strumenti usati sono botti, tini e falci, comuni attrezzi della terra che per l’occasione vengono percossi adeguatamente dagli oltre 1000 bottari presenti ed assumono una nuova funzione musicale. Una tradizione millenaria alla cui base c’è la tipica musica di Sant’Antuono, un ritmo eseguito dai maceratesi con lo scopo di allontanare il male che si rinnova di anno in anno senza mai perdere il suo ruolo di nucleo centrale di identità e coesione popolare, tramandata e insegnata ai bambini di padre in figlio.
Ed ecco arrivati fino a toccare le isole dove in alcune località il giorno di Sant’Antonio anticipa tradizionalmente il Carnevale. È il caso di Mamoiada, in provincia di Nuoro, dove per tutta la notte, i falò illuminano varie piazze della cittadina, propiziando l’avvento dell’anno nuovo. Contemporaneamente, le tradizionali maschere dei Mamuthones e Issohadores escono dalle case e danzano attorno al fuoco, dando vita alla prima “sfilata” carnevalesca: uno spettacolo tra i più suggestivi e ancestrali della terra sarda. Non mancano naturalmente le degustazioni di prodotti locali, preparati dalle sapienti mani delle donne della cittadina, come il tipico dolce papassinu biancu e nigheddu e il coccone ‘in mele (pane dolce con miele e zafferano).
Il viaggio virtuale alla scoperta di questa grande festa, non può concludersi senza prima toccare la Sicilia. A Troina (En) Sant’Antonio Abate viene festeggiato addirittura con due feste durante l’anno, una a gennaio e una a luglio. La prima inizia molti giorni prima della festa vera e propria, con i giovani dei vari quartieri che raccolgono grossi cumuli di legna che verranno poi bruciati la vigilia del 17. È infatti la sera del 16 gennaio che si accendono i “pagghiara”, enormi falò che vengono costruiti in tutti i quartieri del paese: a chi passa ad ammirarli, non mancano in offerta molte leccornie tipiche.
Insomma è proprio vero il proverbio: “Paese che vai, usanza che trovi”. Mancano ancora pochi giorni a ricordarle e magari, perché no, un comodo paio di scarpe sarà l’unico vestiario da mettere in valigia per rivivere queste curiose tradizioni.