Il romanzo popolare Arcadia del 1504 di Jacopo Sannazzaro, narra di un viaggio visionario sotto il Vesuvio, eseguito da una ninfa che rivela all’eroe Sincerus:
“Sì come ancora i sassi liquefatti et arsi testificano chiaramente a chi gli vede. Sotto ai quali chi sarà mai che creda che e populi e ville e città bilissime siano sepolte? Come veramente vi sono, non solo quelle che da le arse pomici e da la mina del monte furon coperte, ma questa che dinanzi ne vedemo, la quale senza alcun dubbio celebre città un tempo nei tuoi paesi, chiamata Pompei… Strana per certo et orrenda maniera di morte, le genti vive vedersi in un punto tòrre dal numero de’vivi!”
Come Sannazzaro e i suoi lettori già riconobbero, la gloria e il dolore di Pompei ci perseguitano perché la vulnerabilità di questo luogo e di queste persone è nostra in egual misura. Il suo ricordo silente e assopito, ma non morto, sopravvive nella memoria collettiva attraverso i poeti, gli storici, gli eruditi che ricordarono Pompei nelle loro opere.
L’esposizione “Pompei 79 d.C. Una storia romana” è stata inaugurata l’8 febbraio e visitabile sino al 9 maggio, allestita in un contesto straordinario nelle gallerie del secondo ordine del Colosseo. “Una mostra di grande raffinatezza ed eleganza, che nasce da lontano ed è il frutto della collaborazione tra diverse istituzioni a dimostrare di come il Sistema Museale Nazionale su cui stiamo lavorando non deve essere solo una realtà sulla carta o all’interno della piattaforma che stiamo realizzando, ma deve essere una realtà fatta di buone pratiche, collaborazioni e reti, perché senza reti non si può andare lontano”. Così il direttore Musei del Mibact (Musei del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali), Massimo Osanna ha presentato l’evento, promosso dal Parco Archeologico del Colosseo, organizzato da Electa, con la collaborazione scientifica del Parco Archeologico di Pompei e del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Presenti oltre a Massimo Osanna, anche la direttrice del Parco del Colosseo, Alfonsina Russo, il direttore del Mann, Paolo Giulierini e il direttore del Grande Progetto Pompei, Mauro Cipolletta. Il curatore e l’ideatore della rassegna è stato il maestro Mario Torelli, uno dei fondatori della nuova scuola archeologica italiana, scomparso lo scorso settembre. Lo studioso purtroppo non è stato presente alla realizzazione finale dell’allestimento della mostra dell’architetto Maurizio Di Puolo ma vi ha lavorato fino all’ultimo, apprezzando quasi tutto, catalogo compreso prodotto con il professore Fausto Zevi, altro maestro dell’archeologia greca e romana contemporanea.
Il Colosseo, ha origine con Vespasiano nel 79 d.C., nel tempo in cui Pompei spariva sotto la lava del Vesuvio, da ciò è nata l’idea di riposizionare le statue tra i fornici: un senso forte di festa nell’impero, mentre veniva meno una delle province, fra le più importanti ed influenti. L’architetto Maurizio Di Puolo e l’archeologo Mario Torelli hanno deciso per l’allestimento dell’esposizione di rappresentare i colori e i modi dell’ultimo periodo di Pompei: il rosso, il nero, l’oro all’interno di false architetture nelle quali si sviluppa la narrazione del dialogo con l’urbe. Dopo la riapertura del Colosseo con il concerto dall’Arena, l’esposizione è all’interno di una stagione che ha visto già la nuova sistemazione scenica dell’Antiquarium del Parco Archeologico di Pompei aspettando al momento la mostra sugli spettacoli gladiatori, la prossima apertura al Museo Archeologico di Napoli.
L’esposizione è suddivisa in tre grandi sezioni: la fase dell’alleanza, la fase della colonia romana, il declino e la fine, con intervalli riservati a due momenti critici: l’assedio romano dell’89 a.C. e il terremoto del 62 d.C.
Una storia mai compiuta prima del lungo legame tra Roma e Pompei, che prova a ricostruire in modo reale l’articolato dialogo che lega le due città più celebri dell’antichità, una storia dal grande valore scientifico basata sulle relazioni sociali e culturali identificabile con la ricerca archeologica. Il rapporto tra Roma e Pompei mostra due realtà diverse ma vicine sotto molti aspetti: Roma equiparabile alle megalopoli del passato come Alessandria o Cartagine, con la sua grandiosità e la sua imponenza e Pompei, contenuta nei suoi limitati confini all’ombra del Vesuvio.
Il percorso espositivo, delle 100 opere selezionate, inizia con l’affresco con scena di rissa fra Pompeiani e Nocerini nell’anfiteatro di Pompei (59 – 79 d.C.) proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La rappresentazione è stata scelta perché nel 79 d.C. scompare Pompei e l’anno dopo, nell’80 d. C., viene inaugurato il Colosseo: una città muore ai piedi del Vesuvio, un’altra nasce, Roma. Nelle prime sale è narrata l’alleanza tra Roma e Pompei dal foedus del 308 a.C. fino alle guerre civili del 90 a.C., un periodo prospero per Pompei che, come Roma e i suoi territori, si apre al Mediterraneo e alla cultura greco – ellenistica. Per il centro vesuviano, la fine del III secolo a.C. corrisponde a un’importante crescita. E’ un periodo di espansione per Roma e per l’Italia, con la conquista di Cartagine e di Corinto, nel 146 a.C., insieme a migliaia di statue e marmi pregiati, a Roma arrivano il lusso, l’arte, la cultura, la raffinatezza dei mosaici e delle pitture ellenistiche; un afflusso cioè di agiatezza e di ricchezza. In questi anni, in Campania e sul litorale Flegreo, si ergono le fastose ville dell’otium romano, sull’esempio delle grandi città ellenistiche come Pergamo e Alessandria. Nella rassegna questa prima fase di crescita e di sodalizio tra le due città viene descritta attraverso quattro sezioni, riferite alla mercatura (commercio), alla luxuria (lusso), al mos maiorum (costumi degli antenati) e alla religio (culto). Tra i reperti più rilevanti della prima sezione vi sono il fregio con cavalieri del Foro Triangolare di Pompei, del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e un oggetto peculiare, del secolo d’oro della mercatura: una statuetta della dea Lakshmi. Tra i pezzi insigni c’è poi l’elegante mosaico con i pesci della Casa del Fauno di Pompei, emblema della luxuria asiatica: creato intorno al 100 a.C. da una bottega itinerante, arrivato a Pompei forse da Alessandria con un repertorio di stampo regale, rappresenta uno dei più splendidi cicli musivi arrivati fino a noi dal mondo antico. In questa prima sezione è presente anche un busto in bronzo di Artemide Diana dal tempio di Apollo, del I secolo a.C. e una statua in terracotta di Afrodite/Venere rinvenuta nel santuario di Fondo Iozzino, databile tra il II e il I secolo a.C.
Si attraversarono poi gli anni delle guerre civili, con il conflitto tra Mario e Silla e con il conseguente assedio, l’obsidio, cessò il secolo d’oro di Pompei. Con le guerre sociali, alla fine del II secolo a.C., le mura della città vesuviana vengono ripristinate per resistere ai nuovi sistemi di assalto. Pompei è invasa e desiste, nell’89 a.C.: è la fine della millenaria indipendenza della piccola città. I reperti mostrati illustrano la presenza sulla vita pubblica pompeiana di nuove famiglie e protagonisti, in un‘epoca in cui mutano classi sociali e composizione della popolazione. Tra i pezzi più belli, un rilievo sulla via Appia a Roma e un’erma marmorea di Caius Norbanus Sorex dal tempio di Iside a Pompei, oltre ad alcuni ritratti virili. Sono in mostra anche magnifici affreschi: quello con prue di navi, originario di Pompei della seconda metà del I secolo a.C., e l’affresco con scena di corte ellenistica, databile al 60 a.C. circa, di Boscoreale proveniente dalla Villa di Publius Fannius Synistor.
La narrazione di “Pompei 79 d.C. Una storia romana” continua con la fase augustea del centro vesuviano, che riguarda tutta l’età giulio – claudia, i maestosi ritratti di Augusto e di Livia raffigurano l’espressione del culto imperiale della città. L’aristocrazia locale si conforma ai modelli romani; con Augusto a Roma e a Pompei si impone il III stile pompeiano, che verrà cristallizzato dall’eruzione. Di questa fase ricordiamo alcune significative opere come i due affreschi con paesaggio idillico sacrale, risalenti al 20 – 10 d.C. della Villa di Agrippa Postuma a Boscotrecase e custoditi nel Museo Archeologico di Napoli. Per far vedere al pubblico cosa c’era al tempo di Roma è stata ricomposta l’intera facciata di un’ambiente di rappresentanza della domus del Gianicolo: una nicchia con statua di Afrrodite – Charis, contornata da piccoli capitelli con delfini e collocata in una parete con lesene decorate da un frammento in pavonazzetto e rosso antico e due pregevoli capitelli di lesena in marmo rosso antico, con applicazioni policrome, risalenti al secondo terzo del I secolo d.C., situati nel Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps. E’ un rifacimento di grande impatto visivo.
Poi c’è il sisma del 62 d.C., che piegò Pompei ben prima dell’eruzione del 79 d.C.: la visione di Pompei che il Vesuvio tramanda è quella di una città che con difficoltà cerca di riprendersi dal terribile terremoto. Il 5 febbraio di un anno approssimativo dell’impero di Nerone (62 o 63 d.C.) Pompei viene investita da un sisma così violento da divellere le statue del Foro e inghiottire un intero gregge di 600 pecore, stando a quanto racconta Seneca. Sarà appunto il terremoto a determinare una rottura sostanziale tra le due città, a causa di ciò infatti Pompei sarà investita da un grave regresso economico, dal quale si avrà uno sforzo importante rivolto alla sua ricostruzione, da ciò le pareti dipinte in “Quarto Stile” costituiscono un rilevante indicatore.
Oltrepassata la sezione dedicata al terrae motus, l’esposizione si conclude con l’eruzione del 79 d.C., che annullò per sempre Pompei, cristallizzandola fino ai nostri tempi.
Plinio il Giovane, nella prima lettera a Tacito, così racconta l’inizio dell’eruzione e lo sviluppo della colonna eruttiva, che egli insieme allo zio scruta da Miseno:
“Dalla parte orientale, un nembo nero e orrendo, squarciato da guizzi sinuosi e balenanti di vapore infuocato, si apriva in lunghe figure di fiamme: queste fiamme erano simili a folgori anzi maggiori delle folgori. (…) Non molto tempo dopo quel nembo discende sulle terre, copre la distesa del mare. Avvolse Capri e la nascose, sottrasse al nostro sguardo il promontorio di Miseno. (…) Alla fine quella tenebra diventò quasi fumo o nebbia e subito ritornò la luce del giorno, rifulse anche il sole: un sole livido come suole essere quando si eclissa. Dinanzi ai miei occhi spauriti tutto appariva mutato: c’era un manto di cenere alta come di neve.”
La mostra termina con affreschi stupendi, come quello con processione di falegnami e quello con Lari e serpenti.
“Come potranno i posteri credere, quando le messi rispunteranno e questi deserti di nuovo rinverdiranno, che sotto i loro piedi sono sepolte città e popoli, e che i campi dei loro avi sono scomparsi sotto un mare di fuoco?”
Per non senso, la fama moderna dell’antica Pompei inizia con la sua fine. Il poeta Stazio recandosi a Napoli sedici anni dopo la spaventosa eruzione non si sottrae al fascino evocativo dell’evento.
L’esposizione attraverso i reperti archeologici di Pompei ci ha restituito la storia di una città fermata all’improvviso nel 79 d.C., dalla lava dell’eruzione del Vesuvio, mentre infatti la capitale è impegnata a sfidare il tempo con le realizzazioni di una metropoli senza precedenti, iniziando dal Colosseo, il piccolo centro vesuviano attraverso la sua distruzione conservativa dei suoi monumenti, le sue case, i suoi templi e i suoi abitanti, è già tragicamente passato alla storia commovendo l’intera umanità.