Al Vascello di Roma, fino al 19 gennaio, in scena c’è tutta la fascinazione del grande teatro. La rilettura di Roberto Andò de “La Tempesta” di William Shakespeare, opera ultima nonché congedo del drammaturgo inglese dal teatro, riesce ad ammaliare il pubblico reso testimone del congegno, ad un tempo magico e politico, del protagonista Prospero, interpretato da un superbo Renato Carpentieri. La chiave di lettura prescelta è quella di rappresentare il protagonista, ex duca di Milano, nobile decaduto, padre amorevole, mago e sapiente, anche nella veste di “eroe del fallimento”, come racconta il regista stesso in un’intervista rilasciata al sito web globalist.it: “Forse è la prima volta che viene raccontato un eroe attraverso i suoi fallimenti. Un uomo che non è riuscito a governare perché amava di più leggere. E questo è, secondo me, un messaggio davvero seducente. Tutto quello che dice sul potere, sul perdono, sulla rinuncia è molto risonante.” Ed infatti, tra i tanti temi affrontati nella pièce, proprio il potere occupa un ruolo centrale. Prospero ne è privato, dodici anni prima, grazie ad una congiura ordita dal fratello Antonio in combutta con Alonso, il Re di Napoli. Se ne impossessa nuovamente quando scatena la tempesta che porta i traditori del passato sull’isola deserta, dove vive da esule con la figlia Miranda. Non cerca vendetta questo vecchio saggio, a cui la voce e il corpo di Carpentieri offrono uno spessore di inaudita potenza, ma giustizia per il torto subito e perfino riconciliazione, intesa come una sorta di legge universale, il sereno dopo la tempesta. L’acqua, piovana e del mare, invade il palcoscenico ed è coprotagonista della “magia buona” di Prospero, dello zelo del suo aiutante Ariel, della ingenuità di Miranda, cresciuta lontana dal mondo civilizzato, ed anche della mostruosità di Calibano, servo infedele. D’altra parte, la potenza dell’acqua come elemento simbolico primordiale, “arché” ovvero principio generatore del mondo e della ricerca di senso sul mondo non a caso all’origine del pensiero filosofico occidentale con Talete, diventa la cornice di eventi risolutivi come l’innamoramento tra Miranda e Ferdinando, figlio di Alonso, il perdono di Prospero nei confronti dei nemici di un tempo, l’abiura che il protagonista fa dei suoi poteri magici, divenuti ormai superflui, e la liberazione di Ariel, che – oltre ad essere il suo aiutante – è uno spirito libero da congedare prima del rientro in Patria. Un altro tema di fondamentale importanza, che restituisce la modernità dell’opera scritta nei primi anni del Seicento, è indubbiamente quello del controverso rapporto con l’alterità, con la scoperta dell’altro, abitante di mondi lontani dall’Europa e pertanto privo delle capacità espressive ritenunte universalmente valide. Non c’è solo Calibano, antieroe mostruoso figlio della terribile strega africana Sicorace esperta in “magia nera” (opposta alla “magia benevola” del sapiente Prospero), ma anche una diversità più sottile e complessa incarnata dai due mozzi anch’essi naufraghi della spedizione reale, Stefano e Trinculo. Al fine di sottolineare la distanza dalla levatura morale ed intellettuale di Prospero, che parla una lingua colta alla quale ha educato anche sua figlia, Andò sceglie di farli parlare in dialetto napoletano e siciliano. Personaggi che brulicano ubriachi sull’isola e che, alleandosi con Calibano, vorrebbero deporre il Duca di Milano senza tuttavia riuscirvi e che diventano destinatari di compassione, nell’eterna lotta tra il bene e il male, tra l’alto e il basso. L’epilogo felice, tipico dell’ultima produzione di Shakespeare detta dei “Romances”, storie d’amore, avventure e magia appunto dal lieto fine, è contrassegnato sia dall’accomiatarsi dell’attore dal pubblico sia dal rantolo finale di Calibano, segno della inevitabilità della prossima tempesta.
Foto di scena Courtesy of Ufficio Stampa Teatro Vascello