Se mai ce ne fosse stato bisogno davvero, la ben nota pandemia che ci ha costretto in casa per lungo tempo stravolgendo le nostre abitudini ha permesso di cementare, celebrandolo, il rapporto con un elemento d’arredo che rappresenta un punto fermo nelle vite di ognuno di noi: il divano.
Fedele compagno di comode serate trascorse nella penombra della luce del led Tv, può a ben vedere essere considerato il “Re Leone” del nostro ambiente domestico, monarca discreto e affettuoso.
Talvolta pregiato, firmato da autorevoli progettisti, prezioso e dalle forme più accattivanti, utile strumento per sottolineare appartenenza alla upper class; altre volte meno rappresentativo, più economico e in alcuni casi francamente molto poco affascinante ma non per questo degno di menzione e, come vedremo, di plauso.
Non saranno certo giudizi di tipo estetico, dimensioni, brand o materiali impiegati dal produttore gli elementi di cui terremo conto nella formulazione del nostro elogio.
Il divano è il punto focale dello spazio maggiormente rappresentativo di ogni appartamento: il “living”, per dirla all’inglese, il “soggiorno”, per dirla all’italiana, il “salotto” che suona un po’ retrò ma è così rassicurante…
Il divano, ladies & gentlemen: sorta di agorà domestico, padre spirituale di pigrizia e ozio, scintillante premio al termine di una intensa giornata lavorativa, porto sicuro delle nostre membra, certezza nell’assolvimento di ogni esigenza di comodità.
Lui aspetta, rassicurante, invitandoci come una Circe moderna a lasciare da parte ogni remora per godere dei suoi umili ma nobili servigi.
A nostro piacimento potremo occuparlo in tutta la sua interezza, potremo corredarlo di paltò e cuscini, potremo schiacciarci un pisolino o dormirci tutta notte, potremo addirittura mangiarci su.
Lui non giudicherà mai, lui sarà sempre lì per noi. In silenzio.
Lo amiamo, questo è evidente e come ogni storia d’amore che si rispetti il sentimento dà vita a forme di gelosia più o meno palesi che credevamo non potessero mai innescarsi nei confronti di un oggetto.
Perché se è vero che ogni lato della sua seduta rappresenta il posto “prenotato” da ogni elemento della famiglia, cane incluso, è altrettanto vero che non tutti hanno diritto d’accesso al prezioso spazio “in prima fila”.
D’altronde, non s’ha nemmeno notizia di un sovrano che abbia mai amato condividere il suo trono, no?
Seneca, dall’alto della sua saggezza, circa duemila anni fa scrisse che “nulla è eterno”.
Nessuno sa se avesse un divano anche lui, in effetti, ma certo il suo inciso introduce, preconizzandolo, quello che spesso rappresenta un momento di dolorosa separazione: la sostituzione, il momento dell’addio.
Vuoi per consunzione, vuoi per esigenze d’altro tipo ma cambiare divano, il “tuo” divano, è come mettere fine ad una lunga storia d’amore o d’amicizia. Mancano soltanto gli avvocati.
Lui, che sa ormai tutto di noi: quale sia la nostra squadra del cuore, il nostro telegiornale preferito, la nostra password di Netflix , la pizza che ci fa impazzire e quale salsa preferiamo sulle patatine fritte.
“Saprà, chi verrà dopo di te, capirmi come hai fatto tu? Sarà così accomodante? Ma soprattutto: sarà così comodo?”.
Turbamenti da separazione, domande esistenziali alle quali solo il tempo riuscirà a dare risposta, mentre due energumeni entrano nel nostro appartamento con uno “sconosciuto” fagottone imballato tra le mani, dopo aver portato via, nei fatti, un vecchio amico.
Ma ho una domanda per chi legge: avete mai visto una casa senza divano? Io non ancora.
Così come non ho ancora visto una città senza la sua piazza centrale, un paese senza il suo campanile, una chiesa senza il suo altare, un bar senza il suo bancone, un corpo senza il suo cuore.
Ma ho visto uomini senza cuore.
E a loro, senza dubbio alcuno, preferisco il mio divano.