Nell’attuale momento della nostra vita comune l’economia assume più il sapore della finanza che dell’impegno industriale cioè più speculazione che lavoro e attività, senza parlare della mai abbastanza vituperata e immorale delocalizzazione, alla presenza di una componente politica che in larga parte è più degna della berlina e della gogna che della gratitudine delle persone, vale certamente la pena di ricordare la figura di due personaggi che del lavoro e dell’attività fecero successo e solidarietà, coi loro dipendenti.
Prendendo una carta geografica e andando in quel di Bergamo, dove il fiume Brembo si getta nell’Adda, si crea una specie di penisola e qui nel 1878 Cristoforo Benigno Crespi (1833-1920), di nota famiglia di industriali tessili, tra l’altro proprietari del ‘Corriere della Sera’, impiantò in questa zona isolata la sua impresa: si chiama Crespi d’Adda. L’abilità di Cristoforo Benigno fu tale che nel giro di qualche anno portò la sua industria a livelli di massima produttività e organizzazione tanto che le maestranze raggiunsero le quattromila unità. Il successo imprenditoriale e gli alti profitti furono motivo e spinta, ecco la grande novità, per non dimenticare la collaborazione e il contributo dei suoi operai: iniziò dunque a costruire tutta una serie di villette bifamiliari con orto e giardino per i dipendenti, senza dimenticare la scuola, la biblioteca, la chiesa, l’asilo, i bagni pubblici, i luoghi di ricreazione e di incontro, anche il cimitero e quanto altro necessario a una comunità in espansione. Gradualmente si instaurò un autentico spirito familiare tra il ‘padrone’ che dall’alto della sua abitazione, assisteva e controllava e i suoi dipendenti: una ‘grande famiglia’. Il figlio Silvio, che ad un certo punto assunse le redini della impresa in modo completo data una improvvisa grave infermità del padre, proseguì nella gestione della attività con ancora maggiore impegno e capacità, senza venir meno a quello spirito solidaristico e ‘familiare’. A poco a poco nel corso degli anni la costruzione delle villette per i dipendenti con l’aggiunta delle abitazioni per gli
impiegati e dirigenti continuò con il medesimo impegno e spirito tanto che quando anni dopo certi avvenimenti portarono alla trasformazione societaria della impresa, si vide che in verità era nato un villaggio vero e proprio a Crespi d’Adda! E l’amore di Cristoforo Benigno e del figlio Silvio era così sincero e convissuto che allorché la guerra portò via 64 operai, essi si rivolsero ad Amleto Cataldi, a quell’epoca tra i più noti scultori del Paese e gli commissionarono un monumento in loro onore: lo splendido monumento fu inaugurato nel 1920 alla presenza del re e delle autorità e ovviamente di tutti gli operai e familiari in numero di circa ottomila presenze: Cristoforo non poté assistere in quanto deceduto poco prima. L’importanza del villaggio operaio di Crespi d’Adda, esempio unico o quasi unico in Europa, è stata riconosciuta anche dall’UNESCO che lo ha dichiarato bene comune della umanità e perciò messo sotto la propria protezione internazionale.
Adriano Olivetti (1901-1960), di origini ebraiche, figlio di industriale di Ivrea (TO), ingegnere chimico e esperienze cosmopolite, ha lasciato all’Italia e alla industria italiana e internazionale una eredità unica e del massimo livello. La sua fabbrica di Ivrea specializzata in macchine da scrivere e, successivamente, elettroniche, che si estese con altre attività produttive e centri di ricerca tanto da divenire una realtà considerevole e di massimo successo con oltre quarantamila dipendenti, si distinse non solo per i marchi quasi leggendari di macchine da scrivere e di calcolatrici quali per esempio, veri oggetti di culto per la bellezza del design, ma anche per la qualità tecnologica, la macchina per scrivere Lexikon 80 (1948), la portatile Lettera 22 (1950), la calcolatrice Divisumma 24 (1956) ma per le approfondite ricerche e realizzazioni nel campo dei calcolatori elettronici primi nel mondo e, rivoluzionari, per gli studi e compimenti nella informatica incipiente. Affianco al gigantesco lavoro organizzativo, assistito da uomini di lettere e di scienza inarrivabili che diedero realizzazione alle sue istanze sociali, letterarie, economiche, di estetica, di programmazione, di assistenza internazionale, tenne sempre davanti agli occhi la figura del suo operaio e il rispetto della sua persona: il lavoro non come sfruttamento ma come realizzazione dell’essere umano nella sua completezza, il lavoro quale gratificazione della protezione divina, nel segno di San Benedetto, di Calvino, di Marx ed ecco che nel 1956 l’orario fu ridotto da 48 a 45 ore settimanali, a parità di salario; i salari erano tra i più alti in assoluto, accresciuti dai benefici indiretti dell’assistenza e dei servizi di tutela aziendali. Troppo richiederebbe la elencazione di tutti i privilegi e peculiarità di cui
godevano i dipendenti di Adriano Olivetti a Ivrea e nel mondo. La progettazione e costruzione di nuovi edifici industriali a Ivrea tenne in primo piano anche le case per i dipendenti, le mense, gli asili nido e molto altro ancora in un sistema articolato di servizi sociali integrati nell’impresa. Con la collaborazione del figlio Roberto e di ingegneri dotati di grande talento, come Mario Tchou, di origine italo-cinese, fin dal 1952 aprì negli USA, un laboratorio di ricerche sui calcolatori elettronici, nel 1955 a Pisa; nel 1957 fondata Telettra la Società generale semiconduttori e nel 1959 fu introdotto sul mercato l’Elea 9003, il primo calcolatore elettronico, con successo planetario. E iniziò la rivalità e l’astio dei colossi informatici americani, tutti protetti e sovvenzionati dallo Stato, che ben comprendevano la forza innovatrice e dirompente della nuova scienza informatica e, soprattutto, la competenza all’avanguardia della Olivetti, a differenza dell’Italia che non riuscì a capire, come pure le altre industrie italiane, la forza innovatrice dietro alle ricerche informatiche di Adriano, che rimase solo.
Certo è che nel 1960, nel pieno del successo e delle speranza, morì, improvvisamente, a 59 anni, misteriosamente ; l’anno dopo misteriosamente anche il geniale Mario Tchou a 37 anni depositario dei segreti e delle competenze e, analogia impressionante, nel 1962, l’anno dopo, saltava in aria nel suo elicottero anche Enrico Mattei, l’altro gigante italiano della intrapresa e della economia e del successo, inviso e invidiato anche lui dai colossi americani.