Sì, ci siamo andati. A raggiungere il nostro pallido satellite non sono stati solo Neil Armstrong e Buzz Aldrin, non solo la NASA e non solo quegli americani che molto avevano da dimostrare alla controparte sovietica. C’è andata, sulla Luna, l’intera umanità. Ci siamo andati tutti, nonostante ancora oggi c’è chi crede che questo meraviglioso sforzo collettivo non sia mai avvenuto. Forse proprio perché, a distanza di cinquant’anni tondi, si tratta ancora oggi di un evento assolutamente fuori dal comune, estraneo a quei canoni della quotidianità, alla solita vita associata, all’onnipresente conflitto tra uomo e uomo che spesso fa credere che non esista altro.
Ma il 20 luglio del 1969, l’umanità era unita: per la prima volta nella storia, due uomini mettevano piede su un corpo celeste che non fosse il pianeta sul quale tutti siamo nati, cresciuti e morti. Migliaia di persone seguivano quello che apparentemente fu un semplice “passo”, con gli occhi gonfi di lacrime e il cuore colmo di orgoglio nel vedere la realizzazione di un proprio lavoro che si sarebbe potuto definire, finché non è davvero successo, come nient’altro che un sogno a occhi aperti. Tutto il resto del mondo, nel frattempo, osservava a bocca spalancata le immagini che venivano trasmesse da ogni televisore acceso in quel momento.
L’umanità era unita nel progresso, e non ci siamo mai stati davvero abituati. Non siamo stati davvero uniti nemmeno nei casi limite della storia, come l’offensiva di Normandia contro la barbarie nazista, in cui gran parte del mondo – ma non tutto – riponeva le proprie speranze. Gli esseri umani di tutto il mondo hanno talvolta provato orgoglio o senso di appartenenza per traguardi sociali o scientifici, ma niente è mai stato così grande e travolgente come l’orgoglio di poter dire: i miei simili, la mia specie – siamo stati sulla Luna.
Oggi la Luna giace lì, sola e triste, con una grande spunta verde che recita “Fatto!”, mentre la ricerca spaziale va avanti con fatica, priva dei fondi quasi illimitati che la ragion di Stato anti-sovietica garantiva negli anni Sessanta. Oggi, però, abbiamo anche una Stazione Spaziale Internazionale, e riusciamo a spedire sonde con una precisione millimetrica dall’altra parte del Sistema Solare. E, soprattutto, non smettiamo di pensare a Marte – includendo la Luna come prima tappa di un viaggio lungo, molto più lungo. Sì, la ricerca spaziale è a rischio stagnazione; ma se quel 20 luglio 1969 non fossimo andati sulla Luna, chissà quale sarebbe il nostro presente rapporto con lo spazio. Per non dire: chissà come sarebbe la nostra storia.
C’è chi, da quell’evento “traumatico” in senso positivo, può dire di aver tratto un insegnamento tale da accompagnare per tutta la vita. In molti, dopo, hanno dedicato la propria vita alla scienza, all’ingegneria, ma non solo: proprio oggi Carlo Verdelli, direttore di Repubblica, ricorda la copertura mediatica dell’evento come la spinta che lo condusse a fare il giornalista. C’è chi, insomma, ne ha tratto una vocazione; ma la maggior parte dei telespettatori di quel programma irripetibile capì, forse, una verità ancora più grande e valida per tutti: e cioè che l’umanità è più potente, immensamente di più, quando non rivolge il proprio sguardo contro sé stessa, ma verso il cielo.