Compagni di esistenza. Omaggio all’umanità dei folli

Vorrei omaggiare l’onore e l’irriducibile dignità di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno perso o stentano a conservare l’equilibrio interiore. Vorrei onorare l’esistenza tormentata dei cosiddetti folli attirando l’attenzione su di una figura centrale della storia della psichiatria e sulla quale oggigiorno poco si legge, almeno a livello divulgativo. Mi riferisco a Ludwig Binswanger (1881-1966), figura di spicco della poliedrica e complessa corrente della psichiatria fenomenologica. C’è un breve scritto (Sulla psicoterapia. Possibilità ed effetti dell’azione psicoterapeutica) nel quale lo psichiatra svizzero osserva come molto spesso nella pratica terapeutica anziché l’uomo ammalato lo specialista ha di fronte «una mera astrazione scientifica». Inoltre, continua Binswanger, il rapporto tra specialista e paziente è spesso unidirezionale anzichè sulla base di un «rapporto interumano» la seduta si struttura secondo una logica unidirezionale che dallo specialista va verso il paziente e si configura (ecco il terzo elemento indicato dallo psichiatra) come una «prestazione». In senso medico-psichiatrico, infatti, «psiche non significa affatto persona (nel senso di co-esistente) e nemmeno soggetto psicologico, ma oggetto “animato”, organismo animato, unità funzionale psichica, globalità di funzioni vitale psichiche ecc.». Siamo di fronte ad un’osservazione filosofico-antropologica assai rilevante per una corretta revisione delle dinamiche della psichiatria organicista. Infatti queste sottili riflessioni di Binswanger hanno il merito di mettere in luce, in modo peraltro assai chiaro, le debolezze caratterizzanti un sapere medico che astrae da quel fondamento di comune umanità (che lo psichiatra chiama «essere coesistentivo») il quale rischia di destinare la persona sofferente ad una rigida e astratta categoria diagnostica. All’unilateralità della prestazione medico-psichiatrica di matrice organicista, l’orientamento fenomenologico preferisce un più corretto inquadramento della pratica psicoterapeutica all’interno di una comunità di destino, direbbe Borgna, che chiama in causa non soltanto l’azione medica sul paziente (letteralmente sul soggetto che patisce, la parte passiva come esplicitamente suggerisce la parola ‘paziente’) ma una relazione implicante un coinvolgimento bidirezionale. Difatti – e questo è l’elemento più profondo della riflessione di Binswanger – la psicoterapia non è un’attività che si aggiunge dall’esterno alla natura umana e che lavora con astrazioni e oggettivazioni di tipo teorico. La psicoterapia, ecco invece la verità per lo psichiatra svizzero, è una declinazione della natura umana che, come già i filosofi avevano intravisto, è essenzialmente sociale. La psicoterapia, detto nei termini heideggeriani nei quali si esprime Binswanger, è un aspetto particolare dell’«essere-con-l’altro», vale a dire essa è sì una professione (e specializzazione) che però è in continuità essenziale con la natura umana, e anzi la realizza e la perfeziona. Nella pratica psicoterapeutica, scrive Binswanger, la sfera «originaria dell’essere-uomo-con un altro uomo e quella nuova dell’essere-medico non stanno tra loro in un rapporto di successione, di contiguità o di difformità, bensì in una relazione di reciprocità “dialettica”». Nella prospettiva fenomenologica di Binswanger, il medico e il paziente, ammesso che sia corretto definirlo così, diventano Daseinpartner, vale a dire compagni di esistenza (La psichiatria come scienza dell’uomo). Ecco il cuore dell’analisi esistenziale a partire da cui «l’accertamento sintomatologico, eziologico e psicopatologico» si arricchisce di una riflessione esistenziale sull’essenza umana poiché:

Come non «c’è» la follia in quanto tale, tanto meno «c’è» l’organismo o il cervello in quanto tale, sciolto dal fondamento d’essere dell’esserci umano e dalla sua koinonia o comunità con il tutto delle possibilità d’essere. (La psichiatria come scienza dell’uomo).

Io mi auguro che queste veloci e spicciole riflessioni, ad un giorno di distanza dalla giornata sulla salute mentale, possano sensibilizzare addetti ai lavori e gente comune sulla necessità, oggi sempre più urgente, di ripensare una psichiatria che non annulli ma anzi riconfermi la comune appartenenza degli attori in gioco nella pratica psicoterapeutica, cioè della persona sofferente e degli specialisti coinvolti nell’azione di cura, all’essenza dell’essere umano. Un passaggio epocale dalla encefalo-iatria (per usare ancora una calzante espressione di Borgna) ad una psichiatria antropologicamente fondata è quello che, in occasione della giornata mondiale della salute mentale io, e spero anche tanti lettori, mi sono augurato con tutto il cuore.

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