Crazy, la follia nell’arte contemporanea

“Nella più ampia accezione di ‘follia’, non di rado sinonimo di ‘creatività fantastica’, l’arte si è sempre ritrovata a proprio agio, ma è soprattutto con i primi studi psicanalitici e neurologici d’inizio secolo scorso, che il rapporto fra disturbi psichici e arte si è fatto più intenso e consapevole.” Queste le parole di Danilo Eccher, curatore della mostra Crazy a Roma, presso il chiostro del Bramante, dal 19 Febbraio all’8 Gennaio 2023, che racconta proprio di squilibrio, sorpresa, ribellione, straniamento, desiderio di andare contro ogni forma di stereotipo. 11 installazioni site-specific inedite invadono gli spazi esterni e interni della sede espositiva, regalando un’esperienza immersiva straordinaria e totalizzante.

E’ lunga la lista degli artisti partecipanti, alcuni molto noti nel mondo dell’arte: Carlos Amorales, Hrafnhildur/Shoplifter Arnardóttir, Massimo Bartolini, Gianni Colombo, Petah Coyne, Ian Davenport, Janet Echelman, Fallen Fruit/David Allen Burns e Austin Young, Lucio Fontana, Anne Hardy, Thomas Hirschhorn, Alfredo Jaar, Alfredo Pirri, Gianni Politi, Tobias Rehberger, Anri Sala, Yinka Shonibare CBE, Sissi, Max Streicher, Pascale Marthine Tayou, Sun Yuan & Peng Yu.

Il percorso espositivo occupa tutti i luoghi possibili, anche quelli solitamente esclusi, dando vita a una narrazione complessa e articolata che si snoda tra opere e spazi isolati. Si comincia nel loggiato, con il pavimento di specchi calpestabili di Alfredo Pirri: una riflessione sulla materia, il doppio e lo spazio e, improvvisamente, ci si imbatte nelle sculture in vetroresina dei due artisti cinesi Sun Yuan & Peng Yu che riescono a farci visualizzare la metafora del processo creativo, durante la quale i pensieri affollano la mente dell’artista, alla ricerca della direzione da seguire. Pochi metri dopo ci si trova immersi nella colata di vernice multicolore di Ian Davenport, che ricopre completamente la scalinata esterna, tra piano terra e primo piano, e nei neon del cileno Alfredo Jaar.

Ma se lo straniamento raggiunge il suo massimo livello quando si cerca di attraversare i corridoi di Gianni Colombo senza perdere l’equilibrio, lo stupore prende decisamente il sopravvento salendo le scale ricoperte dalle 15.000 farfalle di Carlos Amorales, belle certamente, ma con un retrogusto inquietante, che richiama alla memoria qualche scena del Silenzio degli innocenti. E poi il soffitto sfondato di Thomas Hirschhorn, in cui sembra di percepire la calma irreale che succede al fragore del crollo. L’opera qui non è più il punto di arrivo, ma la rappresentazione del momento in cui accade. E mentre Massimo Bartolini, con il suo Starless, ci fa rivivere il sapore delle tradizionali feste patronali di paese, in cui lucine e luminarie, che svettano solitamente tra cielo e terra, qui sono ordinatamente raccolte e accatastate sul pavimento, l’opera Hypermania di Shoplifter Arnadottir ci introduce definitivamente in un mondo irreale e fantastico. Giganteschi batuffoli colorati simili a soffici nuvole di ovatta invitano chiaramente a sognare, tutto è colorato e fiabesco e il fruitore è istintivamente portato a fermarsi per un altro selfie.

Ma la mostra sembra giungere al culmine quando ci si trova al cospetto di un gigante del Novecento: Lucio Fontana, protagonista dello Spazialismo italiano. La sala bianca e abbacinante diventa il cuore pulsante dell’evento e tutto quel non colore ci consente all’improvviso di sentire fino in fondo il sapore del vuoto.

Insomma, percorrendo con stupore continuo le sale espositive, ci si rende conto che l’operazione di Danilo Eccher è perfettamente riuscita. Del resto la fantasia e quindi l’arte, come la follia, non hanno limiti e, per fortuna, rifiutando costrizioni e inquadramenti, ci consentono di volare sulle storture del quotidiano.

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