Uno dei soggetti preferiti di Edgar Degas furono, senza dubbio, le ballerine: le ritrasse a lezione, alla sbarra, a teatro: ne fece tele, pastelli e anche cere.
Si tende spesso a spiegare questa peculiarità mettendola in relazione con le sperimentazioni relative al taglio dell’immagine, alle quali Degas partecipava con entusiasmo scegliendo per le sue tele punti di vista che non fossero soltanto quello frontale, una visione delle quinte sceniche, piuttosto che del palcoscenico. Una delle prime opere che vengono in mente, infatti, parlando di Degas e di ballerine, è sicuramente L’etoile, nella quale dall’alto, come fossimo in uno dei balconcini laterali del teatro, vediamo, spostata sulla destra, una ballerina intenta ad eseguire la sua variazione, ma scorgiamo anche, semi-nascoste dalle scenografie a sinistra, le sue compagne pronte ad entrare in scena, un uomo vestito in abiti eleganti; ci accorgiamo dunque del fermento del fuoriscena, un mondo che normalmente agli spettatori sarebbe precluso.
In realtà, però, osservando la molteplicità di opere dedicate da Degas al mondo della danza, ci accorgiamo che non è tanto lo spettacolo ad interessarlo, ma le lezioni, le prove, la sbarra, ossia il lavoro meticoloso e faticoso che si cela dietro ad ognuno dei passi che poi generano gli applausi e l’ammirazione del pubblico: il processo di perfezionamento, dunque, più che la perfezione del risultato.
Ciò che lo colpiva e affascinava di questo meccanismo, dell’esercizio che ripetuto quotidianamente centinaia di volte portava alla perfezione tecnica, ad un movimento insieme forte e aggraziato, era l’affinità con il suo procedimento pittorico.
“Bisogna rifare dieci volte, cento volte lo stesso soggetto. Niente, in arte, deve sembrare dovuto al caso”, sosteneva Degas; e anche il mestiere del ballerino è quello di esercitarsi fino allo sfinimento, con i piedi stretti nelle punte e la muscolatura in fiamme, forzando giorno dopo giorno i tendini a stendersi ben più di quanto sia umanamente naturale, insegnando al proprio corpo un nuovo tipo di equilibrio, tanto precario e faticoso quanto apparentemente leggero.
Il duro e meticoloso lavoro, comune sia all’arte di Degas che alla danza classica, scompaiono poi di fronte allo spettatore, che resta ora come allora ingannato da una convincente apparenza di naturalezza, di assenza di sforzo, quasi una facilità d’esecuzione, che è in realtà artificiosamente e impegnativamente ricercata.