Pur non dichiarandolo apertamente, la storia ricorda e insegna che quella regione distesa ai piedi di Roma che oggi identifichiamo con Ciociaria e che agli inizi era la Terra dei Volsci e degli Ernici e poi Latium e poi Campania Regio Prima e poi Campania/Campagna di Roma e poi e poi…. Ebbene detta regione è stata la Madre di Roma perché tutte le vicende, leggendarie, poetiche e storiche che ne narrano e raccontano natali e eventi, si sono svolti su questo suolo e a contatto con i primi abitanti, i Volsci appunto e loro varie denominazioni. E quando i due giovanotti presero a tirare i solchi della futura alma Roma sulla riva sinistra del Tevere, i monti Ernici, Lepini, Aurunci risplendevano già delle mura possenti di pietra bianca che proteggevano i paesi ivi arroccati: tale primogenitura a poco valse e ancor meno la comune origine, in quanto la volontà di conquista e di sopraffazione dei novelli ‘romani’ ebbero la meglio, fino alla sottomissione degli antichi abitanti dei monti, anche se nel corso degli anni i vincoli originari, anzi filiali, Roma-Ciociaria si conservarono intatti e intonsi: e già con Orazio “l’agreste Lazio” e “Roma” erano un tutt’uno, un solo corpo. E nel contesto di questa complementarietà e simbiosi, in realtà, plurisecolari, due personaggi giganteggiano fuori della mischia degli imperatori, dei consoli, degli scrittori, dei generali, cortigiane, poeti, dei papi, cardinali…cioè due artisti scultori.
Verso la metà del IV secolo a.C. Roma è squassata dalle lotte contro i Sanniti, genti di montagna ardue a sottomettere, è impegnata anche nella realizzazione gigantesca della Via Appia e inoltre nel 326 a.C. subisce la pesante umiliazione alle cosiddette Forche Caudine; e al contrario quale contrappasso, in questi medesimi anni, a pochi chilometri da Roma, in un luogo appartato e lontano dai fatti narrati, a Palestrina, una famiglia benestante del posto è intenta a festeggiare un evento felice di cui protagonista è una loro figlia: per l’occasione commissiona a uno scultore un regalo particolare, degno della occorrenza: l’artista si firma Novio Plauzio e l’oggetto che realizza è una cosiddetta Cista, cioè un contenitore per oggetti personali di donna: un oggetto veramente fuori del comune e degno del lieto evento: si tratta di un cilindro in rame alto 70 cm munito di tre piedini in bronzo scolpiti e sul coperchio un manico consistente in tre sculturine di grande qualità pure in bronzo. La Cista è splendidamente incisa e scolpita con episodi della mitologia greca: si legge immediatamente lo stile grecizzante e che l’artista è imbevuto del mondo ellenico pur non essendo greco: è un romano, di Atina, che può aver appreso il mestiere a Napoli o adiacenze, a quell’epoca ultima appendice della Magna Grecia oppure direttamente in Atina che comunque connotava notevoli influssi della cultura grecizzante. In una nota passata abbiamo presentato Novio Plauzio, l’autore della Cista e attestato per la prima volta anche la sua appartenenza Atinate: tale filiazione, grazie anche alla numismatica, viene corroborata ulteriormente ricordando gli altri illustri concittadini della famiglia Plautia (o Plozia o Plauzia) di Atina che si distinsero in varie magistrature a Roma e che, grazie al loro importante ruolo, erano perfino autorizzate a battere moneta: Gneo Plauzio nel 278 a.C., L.Plauzio Ipseo nel 194-190 a.C., Aulo Plauzio nel 55 a.C. ufficiale di Caio Mario e alla medesima epoca Gaio Plauzio Planco e possibilmente anche l’altro Aulo Plauzio che nel 43 d.C. conquistò la Gran Bretagna dietro ordine dell’imperatore Claudio: ne consegue perciò sulla scorta anche della numismatica la attendibilità indiscutibile della sua filiazione atinate che, in aggiunta, sottolinea e conferma il ruolo distintivo, e direi, quasi unico, rivestito dalla città di Atina in epoca romana e, alla luce di certe espressioni di Virgilio, anche preromana. Novio Plauzio è dunque il primo scultore che, solitario, si incontra in Roma antica e di cui si ha notizia certa: in effetti succube e tributaria, consapevole, dell’arte greca, Roma non ha dato sostanzialmente artisti di particolare rilievo in pittura e scultura.
Facendo un salto di alcuni secoli, ci imbattiamo in un altro scultore, pure originario della terra ciociara anche se nato a Napoli, che è da considerare però un autentico scultore di Roma anzi lo scultore di Roma per antonomasia, non tanto per ragioni anagrafiche essendovi vissuto tutti i suoi 48 anni di vita salvo qualche mese a Napoli e a Castrocielo, bensì grazie alla elevata quantità di opere di rilievo presenti nella Capitale: infatti nessun artista è rappresentato nella Città Eterna con così tante opere quanto Amleto Cataldi, lo scultore che stiamo ricordando. E’ presente, citando a memoria, con cinque opere alla Galleria Naz. d’Arte Moderna, con tre alla Gall. Comunale poi al Quirinale, alla Banca d’Italia, al Campidoglio, al Senato e sparsi per la città monumenti e sculture del più grande impegno che lasciamo al lettore il piacere di scoprire: tra questi rammentiamo sul Pincio, a pochi metri dal balcone prodigioso su Roma antica e a pochi metri dalla Casina Valadier, la splendida Fontana della Ciociara, comunemente, e erroneamente, nota come l’Anfora, qui voluta nel 1913 da quel grande sindaco di Roma che risponde al nome di Ernesto Nathan