Educazione ed Ibridazione

Non vorrei sbagliare , ma ho l’impressione che anche tra i migliori dei nostri docenti continui ad imperversare un fraintendimento educativo ed interculturale nei confronti degli allievi extracomunitari e dei curricoli .

L’intercultura , soprattutto quando vien giù dalla torre eburnea della teoria , è innanzitutto in classe e fuori della classe contatto reale , concreto , razionale , relazionale , sentimentale con l’allievo non solo extracomunitario . In questa transazione di scambio il docente , come gli altri allievi “nazionali” , instaura , mantiene e potenzia una relazione con il migrante che non è , non può e non deve essere di dialogo tra due “blocchi” non più contrapposti certamente , ma appunto ancora “blocchi” che , pur conoscendosi , frequentandosi e apprezzandosi , rimangono con “identità separate” , continuando a riprodurre un identitarismo sostanzialistico e essenzialistico riformato , ma non cancellato o eliminato definitivamente .

Naturalmente non si chiede al docente e agli allievi “nazionali” di annullare se stessi a favore dell’”Altro” , cosa per altro difficile , se non impossibile .

L’incontro interculturale in classe è e deve rimanere un incontro tra pari , fermo restando il ruolo strategico , sollecitatorio , educativo e formativo del docente , meglio ancora dell’equipe interdisciplinare , laboratoriale e sperimentale dei docenti . Secondo lo scrivente va superato , anche se non eliminato ma inglobato , lo stesso concetto e pratica del dialogo interculturale in un discorso più ampio e complesso . Innanzitutto per il docente , anzi per l’equipe docente , prima di entrare in classe con allievi di provenienze geografiche e culturali diverse , bisognerebbe prevedere un periodo obbligatorio di soggiorno formativo a diretto contatto con i contesti non solo sociali , politici ed educativi dei migranti : non solo frequentazione di scuole ed istituzioni indiane o indonesiane , ma frequentazione e sintonizzazione con le realtà vive e palpitanti provenienti dalla vita di strada e da quella urbana , rurale , familiare , parentale , amicale e di quartiere , insomma il contatto diretto e profondo con l’umanità reale dei migranti a casa loro , un bagno nella folla .

Una volta rientrato al suo luogo di partenza e non “d’origine (quale origine? A meno che non la si intenda nel suo significato fisiologico , ma anche in questo caso , scavando e indagando nel dna , ci troveremmo di fronte alla foresta meandrica e labirintica della complessità genetica con mille , diverse e stratificate “origini”) ,

il nostro docente , immensamente più ricco d’esperienza e d’umanità , entrerebbe in classe a contatto con “L’Altro” non prima però di ricordarsi che è altrettanto determinante , dopo l’esperienza in “Terre assai lontane” , riannodare , ristabilire e potenziare i fili di una matassa relazionale , formativa e sentimentale disseminati nel territorio dove alunni e genitori dell’ “Altro” vivono e continuano a formarsi , che va ben al di là del flusso transazionale , pur estremamente importante e fondamentale , dell’aula .

In un’epoca in cui la richiesta e la pratica dell’educazione e della formazione ha assunto aspetti pervasivi e totalizzanti anche grazie al processo di globalizzazione e alle teorie della complessità , non credo che ci si possa ridurre a riflettere , considerare e praticare il dialogo tra culture in classe e fuori della classe come prevalente possibile approccio innovativo al mondo dell’ “Altro” .

L’errore di partenza è considerare l’”Altro” come proprietario e custode di una identità compattamente e isolazionisticamente sostanzialistica ed essenzialistica che , nella migliore delle ipotesi può , riformandosi , “misurarsi” e confrontarsi con la “nostra” e viceversa in un processo di scambio in cui , comunque , alla fine , pur modificandoci vicendevolmente , ognuno rimane con le “proprie fondamentali essenze identitarie” , ben distinguibili , visibili e verificabili .

Il significato di una vita , di qualunque vita , se è giusto esprimersi in termini di significato e se esiste un significato , non è dato da una fantomatica sostanza o essenza identitaria che non è mai esistita e tanto meno posseduta , ma dall’ “uso”o dagli usi che facciamo della nostra vita , dalle esperienze e dai contesti in cui essa viene quotidianamente messa alla prova . Ecco anche perché non esiste e non può esistere neanche una identità collettiva , ma le esperienze mutevoli e cangianti di tante , diverse e irriducibili vite , uniche ed irripetibili . Solo i fondamentalisti della religione e della ragione credono e hanno tutto l’interesse a credere e a far credere che la irriducibile molteplicità , poliedricità e caleidoscopicità del fluido e inarrestabile flusso umano possa essere ricondotto e ridotto “alle fondamenta”, anzi al fondamento di un monismo informe e riduzionistico , il tentativo millenario e millenaristico di profeti armati e disarmati di recintare , controllare , dominare e lagherizzare la vita , ogni forma di vita . Perché le identità che non esistono e non si possiedono servono anche a questo : a ripristinare e a restaurare le vetuste e obsolete ideologie dei confini geografici e delle barriere materiali e mentali , delle nazioni e dei nazionalismi .

Sia l’allievo extracomunitario che il “nazionale” sono veramente trasformati nel profondo quando la metamorfosi di entrambi diviene ibridazione in cui i tratti caratteristici dell’uno , se esistono , sono intrecciati con quelli dell’altro in un processo di formazione non identitario in continuo divenire in cui non esiste più né l’extracomunitario nè il “nazionale” , ma un’altra persona , non più dotata di identità fissa e immutabile o riformata , ma inserita in un contesto e in un processo continuo e costante di evoluzione e di maturazione , che potremmo anche definire di cosmopolitizzazione , se non fossimo , oggi , al contrario , in presenza del suo opposto , intenzionalmente e programmaticamente perseguito , la “rinazionalizzazione” forzata e obbligata .

Questa metamorfosi del “Nostro” e dell’”Altro” non comporta più una costruzione di qualche nuova identità eterna ed immutabile , ma la constatazione , certamente perseguita e raggiunta anche attraverso un processo educativo e formativo , di una fluidificazione ed “elasticizzazione” di un complesso , multiverso , poliedrico e olistico percorso esistenziale ed evolutivo (qualche volta anche involutivo ed è questo il rischio che si può correre se e quando ci apriamo veramente e completamente al mondo) .

Le esperienze dell’allievo e dell’uomo adulto sono tante quante quelle della realtà di un mondo sempre più variegato e globalizzato .E la stessa storia , sia intesa come disciplina che come storia privata , dell’allievo come dell’uomo adulto è una storia vissuta , narrata e interpretata attraverso mille voci e mille suoni spesso contrastanti e contraddittori , dove sia l’uno che l’altro , alla fine del loro percorso di vita, ma qualche volta anche prima , spesso scoprono di essere stati succubi di narrazioni identitarie e ideologiche che nulla a che fare avevano con le loro reali e cangianti esperienze di vita vissuta . Qui l’intercultura si scontra con la Storia e può e deve servire come chiave ermeneutica per scardinare narrazioni mitologiche e mitografiche oltre che ritualistiche più che storiche .

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares