Lo smartphone sembra ormai diventare sempre di più una protesi del nostro esistere, tanto da non poterne fare più a meno.
Viene utilizzato nei modi più svariati, per semplici telefonate, per lavoro o meno, per scrivere messaggi e riceverne, per leggere i giornali, tenersi collegati con il mondo, ma anche e soprattutto utilizzato come svago, semplicemente come passatempo, perché per moltissimi di noi lo smartphone è solo intrattenimento.
Alcune ricerche indicano che la media italiana di tempo trascorso sui social media davanti allo schermo del telefono cellulare è di quasi due ore al giorno.
Ma pensiamo mai agli effetti di tutto questo? Dove si pone il confine tra necessità e benessere? Tra ciò che siamo e lo strumento che adoperiamo.
Se lo è chiesto l’autrice del libro #Egophonia (piccolo libro proposto all’interno della collana Tracce di Hoepli), Monica Bormetti, consulente nella formazione sull’uso consapevole dei media digitali in ambito aziendale e scolastico e, pagina dopo pagina, racconta chiaramente come gli smartphone (questi telefoni che riteniamo così smart, cioè “intelligenti”, “brillanti”) in realtà si stiano sempre più frapponendo tra noi e la vita vera.
Un saggio in cui l’autrice mostra l’impatto che dal 2007 (nascita del primo iPhone) a oggi ha avuto lo smartphone sulla vita di tutti, al punto da divenire uno strumento di cui non è possibile fare a meno, spesso nemmeno a cena e nelle situazioni conviviali.
Passiamo tantissimo tempo attaccati ai telefonini non per l’uso classico, ovvero telefonare, ma per seguire mail, chat, social: a seconda degli studi si va dalle due a cinque e anche più ore al giorno.
Pure senza considerare gli effetti nocivi sulla nostra salute fisica delle emissioni elettromagnetiche dei cellulari, lasciando da parte le considerazioni sulle tecnologie e gli standard che si stanno imponendo sul mercato, facendoci credere che prestazioni e velocità superiori siano assolutamente indispensabili per migliorare la qualità della nostra vita, restano pur sempre gli effetti psicologici di queste “protesi del nostro esistere”.
Vediamo una possibile strada da percorrere, e come primo passo dobbiamo iniziare a riconoscere che, spesso, andiamo on line per ciò che si può fare ma poi ci restiamo, a lungo, per quello che ci fa sembrare, diventare, essere (in quella nuova dimensione che è la nostra “identità digitale”).
Il passo successivo è quindi osservare consapevolmente se stessi, in questo rapporto vicino, vicinissimo, con il proprio device, e comprendere i meccanismi psicologici che fanno restare attaccati allo schermo.
Che sia chiaro: in questo libro non c’è nessuna posizione “contro” i cellulari ma, semmai, viene sottolineata l’importanza di una riflessione, seria, sull’uso che ne facciamo, affinché sia davvero possibile trarne il massimo vantaggio e, al tempo stesso, “abbassandone i costi in termini cognitivi, relazionali e fisici”.
Il testo propone una riflessione sul come noi esseri umani utilizziamo lo smartphone e su come potremmo usarlo più consapevolmente.
Nel libro, in ogni capitolo, tutti i passaggi sono accompagnati da esercizi, spunti di riflessioni, letture di approfondimento e consigli davvero molto preziosi.
Conclude l’autrice: «Se Orwell in “1984” ci ha mostrato un mondo in cui le persone erano controllate dall’inflizione del dolore, Huxley nel suo “Nuovo Mondo” ci ha raccontato il controllo attraverso la stimolazione del piacere. Tra questi due estremi sarà il lettore a decidere dove sente pendere di più il mondo di oggi. Ma forse dei passi per allontanarci dall’uno o l’altro
scenario, in cui a ogni modo di controllo si tratta, possiamo farli continuando a interrogarci sul nostro rapporto con la tecnologia oggi». Come individui, oltre che consumatori, consapevoli.
Edito da Hoepli, 160 pagine a 14,90 euro.