A circa un’ora a sud di Roma esiste un tesoro archeologico da molti colpevolmente ignorato, situato presso Santa Maria Capua Vetere e facilmente raggiungibile dall’autostrada del Sole o tramite treno. La città, conosciuta in antichità col nome Capua e fondata, secondo Strabone, dagli Etruschi nel V secolo a.C., si trova sulla via Appia ed era la più importante città romana del sud Italia. Nel IX secolo il saccheggio e le distruzioni provocate dai Saraceni, causarono il trasferimento della popolazione a Casilinum, il vecchio porto, dove i Longobardi fondarono la Capua moderna. L’odierna Santa Maria Capua Vetere sorge invece sulle rovine dell’antica Capua, e conserva reperti storici di grande importanza, che spaziano dall’età antica a quella moderna e che si possono trovare all’aria aperta passeggiando tra le strade cittadine, facendo una fermata ad un museo o scendendo in una cantina privata. Sono numerose e molto ricche infatti le testimonianze giunte ai giorni nostri che raccontano le vicende di una delle più importanti città della penisola italica nel mondo antico: stiamo parlando dell’Arco di Adriano, della Domus di Confuleius detta Bottega del tintore, del Mitreo del II secolo d.C., uno dei importanti al mondo nel suo genere, e del ricchissimo Museo Archeologico dell’antica Capua. E siamo solo agli antipasti: il piatto forte di Santa Maria Capua Vetere è infatti l’Anfiteatro Campano, il secondo in ordine di grandezza (dopo il Colosseo) tra le arene romane d’Italia, costruito probabilmente tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C., per sostituire un anfiteatro di dimensione più ridotte risalente all’età dei Gracchi. In epoca romana sorgeva nelle sue vicinanze la Scuola dei Gladiatori, celebre nel mondo per la ribellione di Spartaco del 73 a.C., sanguinosa lotta intestina che tenne per due anni Roma sotto scacco. Pagando un biglietto di soli 2,50 euro, è possibile visitare il Museo Archeologico dell’Antica Capua, il Museo dei Gladiatori, l’Anfiteatro e il Mitreo: quattro luoghi in gestione dal 2014 al Polo museale della Campania, e quattro buoni motivi per programmare una visita agli antichi splendori di Capua. Concentriamoci però sull’Anfiteatro Campano, le cui maestose rovine dominano ancora oggi la città moderna.
«Me ne andavo solo tra le rovine dell’anfiteatro campano, dove rimanevo molte ore, pensando all’antica grandezza di Capua, ad Annibale, a tutta la storia di Livio…» Così Luigi Settembrini, scrittore e patriota napoletano, nel 1830 esaltava gli antichi fasti del monumento. Le origini dell’Anfiteatro Campano, situato oggi in piazza I ottobre 1860, non lontano dall’Arco di Adriano, sono state ricostruite a partire da una lastra marmorea ritrovata nel 1726 e studiata ed integrata dall’archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi. La preziosa epigrafe che inizia con “Colonia Iulia Felix Augusta Capua Fecit”, originariamente posta all’ingresso dell’anfiteatro e oggi conservata al museo archeologico cittadino, chiarisce che l’anfiteatro fu restaurato da Adriano nel 119 d.C., che lo abbellì con statue e colonne; l’imperatore Antonino Pio lo inaugurò poi nel 155 d.C. Le dimensioni dell’anfiteatro, intuibili perfettamente ancora oggi, dovevano essere grandiose: a livello dell’arena 170 metri di lunghezza sull’asse maggiore, 140 circa su quello minore. La cavea poteva raggiungere i 40.000 spettatori, che prendevano posto in diversi ordini sociali: la plebe in alto, le persone più abbienti al centro, tribuni, senatori, magistrati e cavalieri in basso. Gli ordini canonici di spalti dovevano essere quattro (ima, media e summa cavea, attico), impostati su altrettanti livelli di gallerie comunicanti in opus latericium. Una situazione simile, ma molto più rigida, a quella dei teatri odierni, dove i posti più ambiti (e costosi) sono posizionati in basso, vicino allo spettacolo. Alle donne, infine, era riservata un’area separata, in una loggia chiamata “cathedra”.
Esternamente, la struttura presentava 4 ordini, come il più noto Colosseo: i tre ordini inferiori presentavano ottanta arcate realizzate in travertino di uguale ampiezza, ad eccezione di quelle poste in corrispondenza dei quattro punti cardinali, coincidenti con gli ingressi principali; il quarto ordine era a muro continuo decorato da paraste. E’ facile intuire oggi la maestosità del monumento osservando le due chiavi degli archi a terreno sopravvissute e rimaste in situ. Mentre alcuni busti di divinità e resti di statue sono conservati presso il Museo Campano di Capua e il Museo archeologico di Santa Maria Capua Vetere, la gran parte degli apparati decorativi è però purtroppo andata perduta a causa della selvaggia attività di spoglio subita dal monumento nel corso del Medioevo.
La storia dell’Anfiteatro Campano fu infatti travagliata, non solo guerre e distruzioni, ma anche spogli sistematici. Di notevole impatto è stato il saccheggio dei Vandali di Genserico del 456 d.C., a cui seguì un ritorno agli antichi fasti grazie al restauro effettuato durante il dominio gotico e longobardo. L’edificio cessò definitivamente di avere la sua antica funzione a seguito della distruzione portata dai Saraceni nell’841, diventando successivamente una roccaforte. La sua fase più buia però doveva ancora venire: dal periodo svevo in avanti infatti l’anfiteatro divenne una ricca cava di estrazione di materiali lapidei reimpiegati nella costruzione degli edifici della città. Finalmente in epoca borbonica lo scempio venne fermato. Dopo i primi scavi ottocenteschi, negli anni venti fu definitivamente liberato dagli interramenti e gradualmente restaurato. Eventi Culturali Magazine consiglia una visita a Santa Maria Capua Vetere: un viaggio appassionante alla scoperta dei maestosi resti di una grande città romana.
Box informazioni:
Anfiteatro Campano,
Polo Museale della Campania, MiBAC
Ingresso: 2,50 € (Museo+Anfiteatro+Mitreo+Museo dei Gladiatori);
Santa Maria Capua Vetere, Piazza I Ottobre 1860.