Facebook e Google sanno tutto di te, ma davvero davvero tutto.
E intanto Mark Zuckerberg (il fondatore di FB) sta cercando freneticamente di salvare l’immagine sua e quella della sua azienda a seguito del caso di Cambridge Analytica, che avrebbe portato alla violazione di 50 milioni di utenti privati e di aver usato le loro informazioni riservate per influenzare i risultati delle elezioni presidenziali americane, ma anche della Brexit.
Stando appunto a quanto riportato dal sito Ars Technica Facebook avrebbe per anni raccolto i metadati di chiamate, SMS e MMS di utenti di dispositivi Android, e il primo a scoprirlo è stato il neozelandese Dylan McKay, che, dopo aver scaricato una copia di tutti i dati del proprio profilo archiviati da Facebook, si è accorto di una sezione “contatti” all’interno della cartella scaricata, in cui erano raccolti non solo email e numeri di telefono presenti nella rubrica dell’utente, ma anche l’elenco delle chiamate effettuate dal dispositivo, verso quali numeri e per quanto tempo.
Stessa cosa anche per i messaggi, comprendendo numero del destinatario e orario di invio o di ricezione.
La raccolta di questi dati interesserebbe solo chi ha scaricato Messenger o Facebook Lite da un device con sistema operativo Android a partire dal 2015.
La risposta di Facebook è arrivata in un post sul proprio blog Newsroom smentendo tutto, raccontando che tali dati verrebbero infatti trasmessi grazie a un’opzione attivabile dall’utente nelle applicazioni Facebook Lite e Messenger, funzionale ad “aiutarti a rimanere connesso con le persone a cui tieni, e a migliorare la tua esperienza su Facebook”, e che i dati raccolti non vengano ceduti a terzi.
Pare che il monitoraggio su dispositivi Android vada avanti dal 2015 e che solo a marzo 2018 qualcuno si sia accorto di quanto stesse accadendo.
Si pongono quindi ora due problematiche: la prima è la necessità di responsabilizzazione dell’utente medio in funzione di un comportamento più consapevole in generale su internet; mentre la seconda è la scarsa trasparenza nei termini di utilizzo da parte di questa società, che richiedendo la condivisione di dati per “garantire un’esperienza ottimale e piacevole”, senza esplicitare che cosa comporti il consenso a tale condivisione.
Facebook non è peraltro l’unica società a trattare in modo poco limpido i dati dei propri utenti, fatto che con ogni probabilità non sorprenderà.
Dylan Curran ha elencato tutti i modi in cui Google immagazzina e tratta i dati dei propri utenti, spesso a loro insaputa.
Con la cronologia delle posizioni potete ripercorrere tutti i vostri spostamenti dal momento in cui avete installato Google sul vostro telefono, scaricare tutto l’archivio dei dati immagazzinati da Google, tutte le foto che avete scattato con il vostro cellulare e che sono state salvate su Google Photos grazie al backup automatico i prodotti che avete comprato online utilizzando Google come motore di ricerca, vedere il profilo pubblicitario che è stato confezionato sulla base di vostre informazioni quali sesso, età, carriera, interessi, hobby, e per quanto riguarda la cronologia, invece, non basta cancellarla dai vostri computer o dai vostri telefoni, perché l’azienda tiene un report separato di tutte le vostre ricerche, che va anch’esso cancellato dall’utente da ogni dispositivo.
Oltre quindi al fato che servizi come Google o Facebook tengano traccia dei nostri dati e metadati, la questione importante che andrebbe affrontata a livello collettivo una volta per tutte è che non siamo educati a utilizzare con coscienza questi servizi, né a disporre in maniera responsabile dei nostri dati, e che non dobbiamo sottovalutare qualsiasi “agree” incontriamo senza essere abbastanza consapevoli di cosa questo significhi per la nostra privacy.
Un primo passo a livello europeo a nostro favore è già stato fatto, ovvero il “Regolamento generale sulla protezione dei dati”, che dovrebbe rafforzare la tutela della privacy online di cittadini e residenti dell’Unione Europea, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 4 maggio del 2016 ed entrato in vigore il 24 maggio del 2016, vedremo ora se e come cambierà il trattamento delle nostre informazioni online.