“FILIPPO E FILIPPINO LIPPI. INGEGNO E BIZZARIE NELL’ARTE DEL RINASCIMENTO”, L’ESPOSIZIONE NEI MUSEI CAPITOLINI A ROMA.

Il racconto di un padre e un figlio, entrambi pittori e disegnatori di eccelse capacità, è l’interprete dei Musei Capitolini nelle sale di Palazzo Caffarelli dal 15 maggio al 25 agosto 2024 in virtù della esposizione: “Filippo e Filippino Lippi. Ingegno e bizzarrie nell’arte del Rinascimento”.

Pertanto le composizioni di un padre e un figlio, artisti affermati il cui talento straordinario è stato un punto di riferimento nell’arte del Rinascimento italiano, sono il fulcro della rassegna che conferma il genio artistico dei due Lippi fra Firenze e Roma lungo tutto il Quattrocento.

La mostra a cura di Claudia La Malfa, descrive appunto l’epoca d’oro rinascimentale mediante una selezione di 26 opere con prestiti eccezionalmente elargiti dai musei tra cui la Galleria degli Uffizi, l’Accademia di Venezia, la Collezione Cini di Venezia, la Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Torino, l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Associazione MetaMorfosi, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.

“Una mostra”, ha dichiarato l’assessore alla Cultura di Roma Capitale Miguel Gotor nella conferenza di presentazione, “in cui riprendiamo la serie dedicata a quegli artisti che hanno avuto relazioni con la nostra città. In particolare questa esposizione segue un percorso artistico che è anche una relazione familiare. Consente inoltre, di riflettere sul valore e l’importanza del mecenatismo del sistema di corte rinascimentale e delle relazioni tra politica e arte, istituzioni e cultura”.

“Filippo Lippi e Filippino Lippi”, ha ricordato il soprintendente capitolino Claudio Parisi Presicce, “hanno coperto un intero secolo e hanno avuto un ruolo fondamentale nell’introduzione di una nuova visione nella pittura di un nuovo stile (quello delle grottesche) che rimanda alla riscoperta dell’antico”. E’ Filippino Lippi, infatti, tra i primi a calarsi nella Domus Aurea e a riportare nelle sue opere “quei modelli pittorici romani che ebbe modo di vedere direttamente”.

“Fu fra Philippo gratioso et ornato et artificioso sopra modo: valse molto nelle composizioni et varietà, nel colorire, nel rilievo, ne gli ornamenti d’ogni sorte, maxime o imitati dal vero o finti”. Cristoforo Landino, umanista, poeta e filosofo.

Filippo di Tommaso Lippi nacque a Firenze nel 1406 dal beccaio (macellaio) Tommaso di Lippo e da Antonia di ser Bindo Sernigi, che morì di parto. Nel 1421 Filippo prese i voti, nel 1424 assistette alla decorazione da parte di Masolino da Panicale e Masaccio della cappella Brancacci.

Altri modelli su cui il giovane si formò furono le novità scultoree di Donatello, Luca della Robbia, Nanni di Banco e Brunelleschi. Nel luglio del 1424 fu a Pistoia e a Siena, nel 1426 a Prato. Nel 1430 i documenti del convento lo definiscono per la prima volta “dipintore”. Del 1431 è l’affresco con il conferimento della regola del Carmelo nel convento del Carmine, e la contemporanea Madonna Trivulzio, entrambe segnate dall’influsso della pittura plastica di Masaccio.

Fra Filippo di Tommaso Lippi fu con Beato Angelico e Domenico Veneziano il principale pittore attivo a Firenze. Successivamente si rivolse gradualmente verso la pittura fiamminga e poi con il suo stile verso una predominanza della linea di contorno ritmica su tutte le altre componenti, con figure snelle, in pose

ricercate e dinamiche, su sfondi scorciati. Nell’età laurenziana, in area fiorentina, il suo stile costituì le basi su cui pittori come Sandro Botticelli determinarono la propria arte.

Vasari scrisse: “Dicesi ch’era tanto venereo, che vedendo donne che gli piacessero, se le poteva avere, ogni sua facultà donato le arebbe; e non potendo, per via di mezzi, ritraendole in pittura, con ragionamenti la fiamma del suo amore intiepidiva. Et era tanto perduto dietro a questo appetito, che all’opere prese da lui quando era di questo umore, poco o nulla attendeva”.

Filippo, frate carmelitano, è il pittore rinascimentale noto per le sue affascinanti madonne ma anche per essere amante della vita e della mondanità a tal punto da fuggire da Palazzo Medici per inseguire la sua passione sfrenata per le donne.

Nel 1456, venne nominato cappellano del monastero pratese di Santa Margherita, e venne incaricato di realizzare una pala raffigurante la Madonna che dà la cintola a San Tommaso. Per dipingere il volto di Santa Margherita Filippo Lippi chiese alla badessa una suora come modella, la scelta cadde sulla bellissima Lucrezia Buti all’epoca ancora diciassettenne, monaca contro la propria volontà.

Il giorno delle celebrazioni per l’ostensione della Sacra Cintola, Lippi con un finto rapimento fece rifugiare Lucrezia nella sua abitazione di Prato comprata nel 1455. Nonostante lo scandalo e le pressioni della famiglia Buti, Lucrezia rimase a vivere con l’artista finchè, grazie all’intervento di Cosimo de’ Medici, furono sciolti dai voti regolarizzando la loro posizione anche se Filippo come narra Giorgio Vasari, molto intollerante alle imposizioni e convenzioni non si volle sposare.

Lucrezia fu spesso la modella di Filippo ed ebbero due figli, Filippino e Alessandra. Il Maestro si spense nel 1469 e fu sepolto nella Cattedrale di Spoleto. Filippino, avendo già intrapreso la sua carriera artistica, disegnò il sepolcro in marmo con busto, e Angelo Poliziano scrisse il suo epitaffio.

“Fu in questi medesimi tempi in Firenze, pittore di bellissimo ingegno e di vaghissima invenzione, Filippo figliuolo di fra’ Filippo del Carmine, il quale seguitando nella pittura le vestigie del padre morto, fu tenuto ed ammaestrato essendo ancor giovanetto da Sandro Botticello, …… Fu dunque di tanto ingegno Filippo e di sì copiosa invenzione nella pittura e tanto bizzarro e nuovo ne’ suoi ornamenti, …..” Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1568. Giorgio Vasari

Filippino Lippi seguì a Spoleto suo padre (1469), dove lavorò come garzone di bottega nel cantiere del Duomo, in seguito a Firenze presso fra Diamante e poi con Sandro Botticelli nel 1472. Il suo linearismo articolato e vibrante, di ascendenza botticelliana contraddistinse le sue prime opere.

Nell’ultimare gli affreschi masacceschi nella chiesa di Santa Maria del Carmine nel capoluogo fiorentino (1481-1483), la funzione della linea si attenuò nell’impostazione classica delle figure, mentre nel soggiorno romano realizzò gli affreschi della cappella Carafa in Santa Maria sopra Minerva con l’Assunzione della Vergine e il Trionfo di San Tommaso d’Aquino, che mostrano un fare nuovo e più grandioso, una complicazione del movimento a masse molteplici, una tendenza di gusto manieristico.

Il 27 agosto 1488, Filippino è infatti a Roma dove, su raccomandazione di Lorenzo de’ Medici ebbe l’incarico dal cardinale Oliviero Carafa di affrescare la sua cappella di famiglia; in tali affreschi, anteposti per la loro rilevanza alla commissione fiorentina dello Strozzi, Filippino manifestò una costante e molteplice ripresa dell’antico. Egli si ritrovò nel pieno della rievocazione classicista legato alla prima epoca d’oro delle scoperte archeologiche romane.

In questo ambito elaborò uno stile esclusivo determinato dall’estro e da una concezione anticlassica in cui l’immagine è frammentaria in un eclettico insieme di citazioni e rimandi alla scultura e alla decorazione dell’antichità attraverso una creatività illimitata, a volte dirottante. Filippino fu uno dei primi pittori in assoluto ad utilizzare, sebbene relegata a dettagli secondari, una pennellata visibile e pastosa, impressionistica.

Il suo esempio venne ripreso e sviluppato da alcuni artisti toscani come Rosso Fiorentino, la sua tecnica riprende quella del Parmigianino, il tardo Tiziano, Rubens, Rembrandt, Fragonard, e dopo il suo ritorno a Firenze vi fu un rinnovato interesse alla poetica leonardesca.

Ricordiamo soprattutto gli affreschi della cappella Strozzi in Santa Maria Novella iniziati dagli spicchi della volta, poi nelle lunette, nella parete centrale e dopo il soggiorno romano, le due scene di Miracoli nel registro mediano con il termine della scena della Resurrezione di Drusiana.

Filippino fu sepolto a ridosso della chiesa di San Michele Visdomini, come ricorda una targa commemorativa apposta in epoca recente con parole di Giorgio Vasari.

“Morto e disegno or che Filippo parte da noi. Stracciati il Crin, flora, piangi Arno, che il stil hai perso, e l’evenzione e l’arte”.

Tra le opere più significative presenti nella splendida mostra: “Filippo e Filippino Lippi. Ingegno e bizzarie nell’arte del Rinascimento” menzioniamo la Madonna con il Bambino, Angeli, Santi e committente, realizzata in tempera e oro su tavola, inizi del 1430, e proveniente da Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Galleria di Palazzo Cini. Nella piccola tavola creata da Filippo Lippi per la devozione privata, la Madonna è ritratta al centro di un’architettura rappresentata con componenti classiche: una nicchia terminante in conchiglia, un arco a tutto sesto sostenuto da coppie di pilastri strigliati con capitelli corinzi e trabeazione.

La Madonna col Bambino, inizi del 1430, sempre del Maestro fiorentino, è una tempera su tavola della Banca Popolare di Vicenza. Nella tela il pittore sperimenta con le pose le proporzioni e gli scorci delle figure nello spazio. Filippo Lippi immortala e riproduce i gesti quotidiani ma capaci di concentrare una dimensione monumentale nella potenza dei volumi tridimensionali sviluppando diversi piani di distanza dallo spettatore.

La tela Cristo morto sostenuto dalla Vergine Maria e da San Giovanni Evangelista (c. 1430), è una tempera su tavola proveniente dal Museo Poldi Pezzoli di Milano. In essa, quasi certamente creata all’inizio degli anni trenta del Quattrocento, il Maestro rappresenta il dramma umano della morte di Cristo. La Vergine in lacrime sorregge il corpo esangue del figlio mentre San Giovanni Evangelista lo sostiene con entrambe le mani intorno alla vita.

Il quadro San Gregorio e San Girolamo (c. 1435-1437), tempera su tavola della Pinacoteca dell’Accademia Albertina a Torino, riproduce quattro figure maestose che celebrano la grandiosa figura di San Ludovico da Tolosa costituita da Donatello in bronzo dorato negli anni Venti del Quattrocento per la nicchia della Parte Guelfa a Orsanmichele. La memoria di Donatello è evidente non soltanto nella monumentale dimensione delle effigi, ma anche nella maniera in cui la luce irradia i volti dei santi, luce che ha la medesima natura metallica di quella che si riflette sulla superficie del bronzo.

La sezione dei dipinti di fra’ Filippo Lippi è arricchita da un nucleo di documenti arrivati dagli archivi di Firenze e di Spoleto. In essi non solo sono evidenziati la rete di contatti dell’artista con Cosimo de’ Medici e con il re di Napoli, ma è anche descritta, non senza una certa ironia il rapimento da parte del pittore di

Lucrezia Buti dal convento a Prato in cui vi era la giovane diciassettenne a studiare, la fuga d’amore dei due e la nascita del figlio Filippino, come già citato.

Riguardo le opere di Filippino Lippi, sono esposte: il Leone alato con la zampa anteriore destra posata su un elmo e parte di cornice ovale con putto alato (c. 1495) e il Leone alato con la zampa anteriore sinistra posata su un elmo e zampa destra di leone (c. 1495), provenienti dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Questi due studi si ispirano alle antichità classiche analizzate a Roma tra le rovine dei monumenti antichi nella Domus Aurea di Nerone. Il primo disegno è attuato a punta d’argento su carta preparata, nel secondo invece vi è un uso incisivo della biacca, che non è adoperata per indicare i punti di luce ma per richiamare il colore dello stucco in finto marmo degli elementi decorativi presenti a Roma nella Cappella Carafa e a Firenze nella successiva cappella Strozzi.

Filippino Lippi creò i due tondi: Angelo annunciante (1483-1484) e Vergine Annunciata (1483-1484), commissionati nel 1483 per il Palazzo Comunale di San Gimignano. La forza magnetica dei due dipinti sono il prodotto di un sofisticato utilizzo della prospettiva, del colore e della luce. A terra il pavimento in pietra serena a riquadri in cotto mostra linee prospettiche che convergono in un punto di fuga collocato al centro di ciascun tondo. La purezza delle fisionomie dei volti dell’Angelo e della Vergine e il ritmo quasi musicale della retorica dei gesti dei dipinti circondano il pubblico nel mistero dell’annuncio profetico dell’incarnazione del dio nel corpo della Vergine.

La tela Ritratto di giovane uomo, olio su tavola (c. 1496), è ubicata presso le Gallerie degli Uffizi a Firenze, l’uomo è ritratto in un taglio ravvicinato che lascia intravedere un po’ del fondo blu. Le spalle della figura sono generalmente inclinate verso sinistra, ma il viso gira centralmente e gli occhi guardano l’osservatore davanti a sé.

Nella composizione la Morte di Lucrezia Romana, olio su tavola (c. 1475-1480), nelle Gallerie degli Uffizi presso la Galleria Palatina, Filippino attua una pittura dotata di figure dalle forme nettamente delimitate da una stesura del colore a macchia e da architetture costituite da linee pure, dalle candide e astratte geometrie architettoniche. L’immagine della tavola nasce dalla storia di Lucrezia moglie di Collatino, vissuta al tempo del re di Roma Tarquinio il Superbo, raccontata da Tito Livio (30 a.C.-17 d.C.) nel primo libro Ab urbe condita. Nel quadro la storia si sviluppa in tre episodi all’interno di uno spazio pittorico senza soluzione di continuità, ritmato soltanto dall’architettura.

La bella mostra costituisce un’opportunità esclusiva per conoscere l’arte di due Maestri del Rinascimento e per riflettere sulla loro eredità culturale.

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