Nel 1507 Raffaello Sanzio realizza, per una cappella all’interno della chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, una pala d’altare. Nell’anno successivo si sarebbe trasferito a Roma, ma per il momento è ancora a Firenze e realizza opere – soggetti sacri, come molte delle sue poi celeberrime Madonne, oppure ritratti – per privati illustri.
In questo caso a commissionare il dipinto a Raffaello è un membro della famiglia Baglioni, la quale reggeva pur senza dichiararsi sovrana le sorti della città di Perugia (e lo avrebbe fatto per ancora una trentina d’anni).
La pala rappresenta il Trasporto del Cristo morto dal Golgota dove era stato crocifisso (la collina visibile in alto a destra) al sepolcro, sorretto e accompagnato da Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, da Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista e dalle pie donne che sorreggono una Vergine svenuta, talmente provata dal dolore per la morte violenta del figlio che tra il viso di Cristo e quello della Vergine pare non esserci differenza, sebbene uno sia morto e l’altro ancora vivo: una corrispondenza d’amorosi sensi tradotta da Raffaello con grande sensibilità umana e con maestria sia coloristica che compositiva. E proprio la composizione, con il corpo morto di Cristo sorretto dai due gruppi di figure separati ma legati tra loro grazie al movimento uguale e contrario delle figure centrali, la Maddalena che si spinge in avanti e lo straordinario portatore che nello sforzo di sorreggere Cristo si inarca all’indietro, è prova ulteriore della incontrovertibile capacità di Raffaello – già manifestata nei primissimi stadi della sua formazione – di rinnovare iconografie antiche (e, in alcuni casi, stanche) e di costruire la sua tela in maniera tale da conferire un movimento, sottile e raffinatamente espresso, non soltanto alle singole figure ma anche alla scena nel suo complesso.
Il soggetto scelto dalla committente, Atalanta Baglioni, era adatto alla collocazione dell’opera – le cappelle delle famiglie nobiliari nelle chiese avevano infatti funzione funeraria – ma era anche rispondente al lutto che la donna aveva recentemente subito: qualche anno prima, infatti, nell’ambito di una sanguinosa lotta per il potere interna alla famiglia, suo figlio Grifonetto era stato ucciso da suo cugino Giampaolo, il quale aveva voluto vendicare un eccidio, dal quale lui era riuscito a fuggire, che era stato il punto culminante di una congiura ordita da Grifonetto ai danni dei suoi parenti.
Ma questi non sono gli unici crimini legati alla pala.
Il motivo per il quale oggi non si trova più a Perugia (dove è ancora, alla Galleria Nazionale dell’Umbria, la cimasa che sormontava questa tavola di Raffaello), ad imperitura memoria del dolore di una famiglia, specialmente quello della committente Atalanta, è legato ad un altro atto illecito: non un omicidio, stavolta, bensì un furto.
I colpevoli sono facilmente svelati dalla collocazione odierna dell’opera: la Galleria Borghese di Roma. Nel 1608, infatti, il cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, riteneva evidentemente che alla sua collezione – la quale aveva peraltro appena acquisito la cospicua collezione del Cavalier d’Arpino, grazie ad un fortunato sequestro ordinato dalla Camera Apostolica (per approfondire: https://www.eventiculturalimagazine.com/arte-e-cultura/due-caravaggio-giovanili-sequestrati-dai-borghese/) – mancasse proprio la Pala Baglioni di Raffaello. La tavola venne prelevata di nascosto, nottetempo, e portata a Roma; nonostante le rimostranze perugine la nuova proprietà della Pala venne confermata e garantita dal papa, ed entrò ufficialmente a far parte della collezione del suo cardinal nepote.
In sostituzione della tavola rubata, opera di un maestro ricercatissimo (anche sul mercato) come Raffaello e per giunta così legata ad una delle famiglie più rappresentative della storia di Perugia, i due Borghese ne commissionarono una copia (una tela delle stesse dimensioni dell’opera originale) al Cavalier d’Arpino, il quale si prestò all’inganno, probabilmente spinto anche dalla volontà di riappacificarsi con il papa dopo le vicende giudiziarie dell’anno precedente, che avevano portato anche lui ad essere vittima di un sequestro artistico firmato Borghese.