GENOVA: IL NUOVO PONTE DI RENZO PIANO E’ IL SIMBOLO DELL’ITALIA CHE RIPARTE. NEL CUORE LE 43 VITTIME DEL MORANDI.

Non lo chiameremo più ponte Morandi, dal nome dell’ingegnere che lo aveva progettato nel 1963, perché quella struttura appartiene ad un passato che porta con se anche il dolore delle vite perse. Il 28 aprile si sono completate le operazioni per l’allineamento dell’ultima campata portata su a 45 metri dalle gru con la bandiera di San Giorgio, vessillo di Genova. A unire la città c’è il nuovo ponte sul Polcevera disegnato dall’architetto Renzo Piano, fortemente legato al territorio che già per la sua città aveva fatto opere straordinarie. Un viadotto lungo 1067 metri composto da 19 campate appoggiate su 18 piloni, una sintesi di funzionalità e bellezza fuse nella flessibile solidità dell’acciaio. Renzo Piano l’ha immaginato come una nave sottile lanciata a 40 metri di altezza da levante a ponente. A salutare quella che è stata l’ultima operazione della parte d’acciaio del ponte sono state le sirene del cantiere, insieme a quelle delle navi in porto ed in rada che hanno avvisato quando le due sponde sono state riunite. Un momento di grande emozione perché se è vero che l’incastro dell’ultima campata non significa veder finito il ponte, è di certo un grande passo avanti verso la fine di una vicenda terribile e straordinaria insieme. Ci vorranno comunque ancora diverse settimane, si parla di inizio luglio, forse prima, perché l’opera possa essere aperta alla circolazione. All’inaugurazione della nuova struttura, erano presenti le principali Istituzioni, sia Nazionali che Locali, in primis il Presidente Giuseppe Conte che sottolinea: “è un cantiere simbolo per Genova, per la Repubblica e per l’Italia intera. E’ il cantiere dell’Italia che sa rialzarsi, che si rimbocca le maniche, che non si lascia abbattere e sopraffare neppure da una tragedia così dolorosa. E’ un’ Italia che mette insieme competenze e senso del dovere”. E se è ancora vivo il ricordo delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi, va detto che il completamento di questa struttura che ricongiunge la valle genovese è un segnale di speranza per l’Italia. Un’Italia, che si sa, vive un periodo storico difficilissimo, dettato dalla necessità di fronteggiare l’espandersi del Coronavirus, un nemico invisibile che non conosce confini. Due situazioni queste, il varo del nuovo viadotto e la crisi determinata dalla presenza del Covid-19 che richiedono unità e compattezza da parte delle Istituzioni da un lato e da parte della cittadinanza dall’altro. “Consola vedere che questa opera è nata da un grande lavoro collettivo” ha detto l’architetto Renzo Piano”e che sia stata realizzata in tempi molto brevi”. Il nuovo ponte sul Polcevera di Genova è il risultato di un ottimo lavoro di squadra eseguito in tempi record, basti pensare che la realizzazione dell’infrastruttura è avvenuta in meno di due anni, mentre generalmente per lavori come questi nel nostro Paese i tempi di realizzazione sono almeno il doppio. Un tempo record per la storia degli ultimi 30 anni delle infrastrutture realizzate in Italia. “Non è un miracolo, ma la conferma delle competenze nel nostro Paese ci sono, basta dare loro spazio. Bisogna applicare questa energia allo stato normale delle cose, senza aspettare la tragedia”. Molte comunque sono state le difficoltà, nella vita di questo cantiere: a partire dalle allerta rosse tra ottobre e novembre, con focus proprio nella Valpolcevera, piogge torrenziali e mare grosso che hanno ritardato ma non fermato l’arrivo dell’acciaio da Castellammare di Stabia. Poi l’incendio di dicembre nel cassone della pila 13 ed infine il Coronavirus che ha colpito uno degli operai della ditta Fagioli finendo per metterne in quarantena circa 50. Eppure il cantiere non si è mai fermato: è andato avanti, con eccezionali misure di sicurezza. Certo in passato non dimentichiamo una sequenza di terribili errori, omissioni, denunce inascoltate. Nessuno pensava allora alla ricostruzione. Per rispetto dei 43 morti, della rabbia delle famiglie, del dolore degli sfollati. Nessuno sorvolerà, ora e ancora, sulle responsabilità di chi doveva vigilare e non l’ha fatto, in un Italia che resta fragile dal punto di vista infrastrutturale, come dimostrano i recenti crolli di ponti in Liguria e Sardegna, per fortuna senza altre vittime. Ma il ponte di Genova ha dimostrato essere un’opera eccezionale con una corrispondenza di una situazione eccezionale: l’impegno comune degli Enti Locali, mai così coesi e determinati nel rispondere all’unisono all’urgenza, la visione, la generosità e insieme la capacità di fare squadra nel meglio del made in Italy, nei suoi uomini più carismatici e nelle sue imprese migliori; il lavoro 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, di centinaia di progettisti, ingegneri, capocantieri, operai; la disponibilità della popolazione locale nell’accettare grandi sacrifici, che non sono ancora finiti. Anche lo Stato centrale ha fatto la sua parte. Aver azzerato la burocrazia, vero fantasma che incombe su ogni prodotto del genio nazionale, capace di soffocare qualsiasi cosa, è un’ intuizione fondamentale. Non dimentichiamo anche che i lavori sono andati avanti in un periodo di lockdown, cioè di isolamento e chiusura totale di ogni attività. Nonostante ciò la voglia di ripartire è stata più grande di ogni ostacolo e a Genova è accaduto davvero qualcosa di importante. Occorre che questi modelli vengano replicati in più parti d’Italia, a testimonianza del fatto che è possibile operare bene e senza vincoli burocratici. Il che non vuol dire aggirare i vincoli legislativi ma tener conto delle norme che regolano un determinato settore per poi rapportarle con il fattore tempo che è la vera variabile determinante di questo rapporto. Di un rapporto in cui conta la piena soddisfazione dei cittadini e in questo la Regione Liguria, nella persona del Presidente Giovanni Toti, ne è uscita vincitrice. Si può ricucire l’intera Italia partendo da un ponte, ma lo si può fare anche entrando nella vita di una periferia o di un quartiere dimenticato. Basta sapere cosa fare e dove intervenire, basta muoversi con passione, determinazione e tempestività: prima cioè che un problema si faccia più grande. Non dimentichiamo quindi che il nostro è un Paese che sa darsi e donarsi agli altri e al resto del mondo. In primis sa però donarsi al suo prossimo, alla collettività di riferimento, agli italiani tutti. Mentre ci arrovelliamo su fase 1, fase 2 e fase 3, mentre ci si chiede quando mai sarà possibile uscire dalla pandemia di Covid-19, forse possiamo riconoscere di aver trovato un metodo, è la via buona della corresponsabilità, dell’ascolto del territorio, del lavoro senza troppe polemiche. Salutiamo allora il nuovo viadotto di Genova con gioia, orgoglio e soddisfazione; non dimentichiamo che la nostra Nazione ha bisogno di opere pubbliche nuove,costruite con criteri che sappiano rispettare sì la modernità ma soprattutto le nostre bellezze artistiche.

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