Gigi, 40 anni, 17 spesi a difendere la porta della Juventus, 6 quella del Parma, più tutti quelli tra i pali della nazionale italiana.
Gianluigi “Gigi” Buffon da Carrara ha appena concluso la sua ultima stagione nel campionato di calcio italiano vincendo l’ennesimo scudetto.
Per tutti rappresenta un’icona, un simbolo, un mito per i più piccoli e non.
Ma Gigi oltre ad essere tutto questo è prima di tutto un uomo, normale, come tutti noi.
Lui stesso ha rivelato la solitudine del numero 1, raccontando nel libro Demoni del giornalista di Sky Sport Alessandro Alciato il periodo di depressione che lo ha afflitto nel 2004.
Gigi racconta: «in quel periodo avevo perso la gioia di vivere, ero costretto a far convivere il mio malessere e il fatto di dover fornire prestazioni elevate sul campo per non creare danni alla Juventus alla nazionale italiana. Quello stato di me mi accompagnava nel baratro di mille domande, perché proprio a me, bello, ricco e famoso?».
Il periodo nero di Gigi durò per circa un anno, proprio lui, il numero 1 per eccellenza si sentiva uno zero.
Nel libro Buffon racconta anche la sua partita più difficile. Contro la Reggina, il 15 febbraio 2004, quando ancora la Juventus giocava al vecchio Stadio delle Alpi:
«Non la scorderò mai, non se ne accorse nessuno e in quel momento pensavo di essere ancora più solo. Durante la fase di riscaldamento mi è venuto un fortissimo attacco di panico, davanti a tutti. Ero in campo ma feci affidamento sul mio orgoglio, sul mio amore per il lavoro e decisi di non mollare. Mi sono detto Gigi se prendi la via più facile, se non entri in campo, lo farai sempre».
Il punto di svolta di questo periodo cupo avviene quando Gigi nel suo girovagare per le strade di Torino entra a visitare la Galleria d’arte della sua città.
Un quadro del pittore Chagall cambia qualcosa in lui: «mi innamorai de La Passeggiata, e vedendolo pensai che le piccole cose potevano darmi una mano e che potevo ritrovare la gioia di vivere. Per qualche minuto mi ha reso contento».
Il dipinto dell’artista bielorusso naturalizzato francese realizzato tra il 1917 e 1918 ha al centro della scena il pittore che tiene per mano la moglie mentre vola per aria, il senso di questa immagine è l’amore che lega profondamente due persone.
Il senso per Gigi è stato quello di una rinascita e di un ricongiungimento con se stesso.
Dopo esser uscito dal museo continua a vagare un po’ per le strade prima di tornare a casa, con i pensieri positivi che quel quadro hanno smosso in lui.
Il giorno successivo un pensiero fisso, il quadro di Chagall, Gigi racconta: «tornai il giorno dopo a rivedere il quadro, ci vuole pazienza, non è che il male possa sparire dall’oggi al domani, come dall’oggi al domani non è venuto.
Quel quadro piano piano mi ha trascinato fuori dalla melma.
Da quel momento ho iniziato a leggere tanti libri e mi sono iscritto ad un corso di chitarra».
Gigi insegna che nessuno è invincibile, neanche un numero 1, e che sono le piccole cose a renderci davvero felici.